Sarà che a Berlino all'Aegyptisches Museum si può essere stregati e trascinati lontano dall'incorruttibile profilo di Nefertiti, o che per le vie della città si può, a detta degli stessi immigrati, gustare il migliore kebab acquistabile al di fuori dei Paesi arabi, ma sulla capitale tedesca spira a volte un vento d'oriente così forte da animare nei suoi già poco razionali abitanti l'urgente desiderio di viaggiare lontano, fisicamente o virtualmente. Fortunati, a questo punto, gli Agitation Free, che nel 1972 riescono ad intraprendere entrambi i tipi di viaggio e a consegnarcene in questo "Malesch" il diario cosmico/krautrockettaro con lo scopo marcatamente dichiarato di rapirci definitivamente dalle nostre sedie.

Reduci da un viaggio in Egitto, il gruppo berlinese (di cui, a onor del vero, si sente parlare più per il fatto di aver passato ai Tangerine Dream il buon Chris Franke - prima loro batterista - ed estemporaneamente anche il loro synthesista Michael Hoenig) decide di redigere una sorta di "blog" puramente musicale: come, infatti, nei diari elettronici ci si diverte ad integrare esternazioni, ricordi, foto scattate durante l'ultima vacanza e colori vari, gli Agitation Free fanno convogliare in Malesch le loro impressioni di viaggio insieme a frammenti sonori registrati per le strade del Cairo e delle altre tappe del loro itinerario, realizzando un album "on the road" per molti versi ineguagliato e ineguagliabile. Accade, così, che nell'iniziale "You play for us today" si senta un componente del gruppo rivolgere questa stessa domanda ad una banda di suonatori di strada, per poi venire proiettati in un brano psichedelico a metà strada fra i Pink Floyd di "A Saucerful..." (anche se sapientemente meno pomposi), scale orientali e spirito west-coast e finire con le percussioni e i pifferi arabi della suddetta banda. Il tutto senza soluzione di continuità e, sorpresa, senza accorgerci di essere passati dalla strada allo studio di registrazione e viceversa!

Questa magia continua per tutto l'album, suddiviso in canzoni come se si trattasse dei capitoli di un libro, che comunque deve essere letto e considerato per intero (benedetto a tale proposito chi ha inventato i CD!). Così, fra brani più rock/psichedelici e passaggi cosmico/elettronici si può avere l'impressione di camminare nei vicoli più segreti della Kasba, di stare distesi nell'enigmatico sarcofago della Grande Piramide o di accamparsi con una tribù di nomadi nel bel mezzo del Sahara. "Sahara City" rapisce nelle sue spire cosmiche, reminescenti dei Tangerine Dream di "Atem", per poi farci atterrare dolcemente in un rock più deciso, squisitamente impressionista. Come se niente fosse il gruppo ci delizia con strutture di tastiere iterative alla Terry Riley in "Ala Tul" e l'ossessivo incidere elettronico quasi industriale - ma in realtà molto lontano da tale prospettiva - di "Pulse", dove il VCS3 di Hoenig ci regala colpi nervosi e dinamicissimi, quasi la partitura fosse scritta in un'improbabile misura in 1/4. I pensieri sembrano sollevarsi fino a farci vedere il mondo dall'alto con gli echi ben amministrati di "Khan el Khalili" e l'improvvisazione free form, mai ossessiva e davvero trasognata, della title track.

E mentre quest'ultima sfuma sul rumore del vento del deserto, quasi non ci si aspetta l'ingresso deciso di un brano come "Rücksturz", inno al limite del lo-fi e della new-wave ante litteram, intriso contemporaneamente di passeggiate al Tiergarten e gorghi di persone in un qualsiasi Suq mediorientale, in modo che la carovana immaginaria degli Agitation Free possa terminare il suo viaggio in qualche luogo perso fra le nostre anime e terre lontane...

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