"Siamo noi a generare.

Nel dolore generiamo la gioia

La gioia della nostra forza, del nostro trionfo.


(...)

 

Noi non abbiamo bandito la morte

Che l'uomo deve affrontare per essere degno della vita

Noi abbiamo assalito la morte

E con un girotondo intorno alla terra

La trasciniamo confusamente nelle nostre avventure"

 

(Pierre Drieu La Rochelle, 1917)

Quale miglior modo per introdurre un'opera di alto valore concettuale ed artistico come "Kshatriya", se non impiegando la citazione richiamata dagli stessi musicisti per rappresentare quello che ad oggi rimane il loro capolavoro assoluto.

Esiste un prima - ed un dopo - "Kshatriya" nella carriera di Ain Soph: "Kshatriya", pubblicato nel 1988, è il primo lavoro stampato su vinile edito da Ain Soph (quando ancora i lavori precedenti circolavano in cassette) e rappresenta l'apice dell'indagine esoterica del collettivo capitolino, prima che nuovi percorsi stilistici siano intrapresi.

Se in precedenza l'intento era stato quello di trasporre in musica la pratica di veri e propri riti magici (coltivati nella solitudine e forgiati nelle quattro mura di casa), "Kshatriya", che gode di una veste finalmente professionale, sembra rilucere di un ulteriore sforzo filosofico: pur conservando i presupposti teorici su cui si erano basati i lavori precedenti, il discorso di Ain Soph si pone ad un avamposto più coraggiosamente avanzato e volto ad una lettura critica della società, della storia e dell'uomo, auto-costituendosi infine come fervido messaggio di auspicio per un percorso di possibile redenzione (messaggio che, data la sua complessità, ad oggi rimane probabilmente al di fuori di una completa comprensione).

Apperentemente in coerenza con i dettami che animarono l'originaria cultura della musica industriale (ossia quella di considerare la contemporaneità come fase terminale del percorso evolutivo dell'uomo), in verità il percorso di Ain Soph si spinge in direzione totalmente opposta, alimentandosi del pensiero di Nietzsche ed Evola: un cammino che supera la componente più propriamente nichilista della cultura industriale in vista di una concezione ciclica della storia tipicamente evoliana, secondo la quale l'attuale contesto di decadenza, morale e spirituale, deve essere sopportato con grande fermezza interiore in vista dell'avvento di una nuova fase storica. Da qui l'origine del titolo dell'opera che richiama direttamente la casta guerriera degli Kshatriya, massima evoluzione dell'uomo, "la realizzazione dell'Individuo-Assoluto". Alla base del tutto sta la necessità, da parte dell'uomo, di liberarsi dalla catene della civiltà e dei valori comunemente accettati (progresso, uguaglianza, pacifismo ecc), principi che, stando alla visione (controversa, e non sempre condivisibile) dei Nostri, hanno condotto irrimediabilmente alla odierna degenerazione materialistica dell'essere umano: "E' giunto il momento di disperdere questi miraggi appartenenti al genere umano. L'Azione deve partire dal singolo. Ognuno di noi è chiamato a dimostrare di meritarsi l'appello di Individuo."

La Magia (perché sempre su questo piano ci stiamo muovendo), è la nobile pratica per epurare il proprio Io da tutto ciò che è futile e che costituisce l'ostacolo principale per questo processo di elevazione (che porta alla trasfigurazione dall'umano al divino, alla immedesimazione dell'Io in Dio): "In particolare il sacrificio di Sé va inteso come l'eliminazione - o uccisione - di tutto ciò che nell'Io non ha forza né valore tali da sussistere persino all'Io stesso, ovverossia alla sua mente. Questi elementi, in realtà effimeri, comprendono, tra l'altro, il bene ed il male, il giusto e l'ingiusto, ciò che è lecito e ciò che non lo è".

Ed è interessante, per chi è in possesso della recente ristampa edita da Hauruck!, leggere le amare note che gli stessi musicisti appuntano dopo circa vent'anni dall'uscita dell'opera: "Vent'anni fa intravedevamo il tramonto e auspicavamo l'avvento degli Kshatriya, oggi una notte senza stelle, tenebrosa ed oscura, ci sta avvolgendo. Il fuoco della mediocrità ha consumato ogni più labile speranza, una demoniaca valanga si è oramai messa in moto e annienta durante la sua vertiginosa discesa tutto quello che incontra: inutile cercare di fermarla o di ostacolarla - impresa vana. Faccia il suo corso e dopo si cominci a ricostruire...edificando sulle rovine di quella che non sarà più considerata una civiltà bensì un'epoca di decadenza. (...) Oggi non abbiamo più bisogno di Kshatryia ma di eremiti che, distaccati dalla fanghiglia odierna, conservino e tramandino il fuoco della tradizione".

Ed ancora più interessante è osservare come il percorso di Ain Soph (si parlava di un prima e di un dopo) proseguirà  a "ritroso", ossia "dagli Kshatriya dell'età degli eroi all'uomo-schiavo dei regimi comunisti", il tanto vituperato uomo-massa: un percorso coerente, coerentissimo, che vedrà un radicale cambio di rotta, sia stilistico che concettuale, in lavori come "Aurora" e "Ottobre", che ripiegheranno prima verso i lidi della ballata folk-cantautoriale, e successivamente verso quelli del post-punk e del rock elettrificato.

Quel che è stato è stato, quel che sarà sarà, ma "Kshatriya" rimane ad oggi un gran lavoro, fra i più intensi e significativi in assoluto dell'universo ritual-industriale. Pochi termini di paragone trova, in verità, questa opera davvero unica, forse lontanamente accostabile a lavori come il coevo "Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow" dei Current 93 e "The Fruits of Yggdrasil", concepito appena un anno prima da Sixth Comm & Freya Aswinn.  Ripeto tuttavia che ogni accostamento risulta fuori luogo, data l'originalità di un ensemble da sempre al di fuori di ogni compromesso artistico, prima ancora che commerciale.

Gli Ain Soph, anche in questa circostanza, rimangono musicisti tecnicamente poco dotati, ma riescono miracolosamente ad azzeccare ogni fottuta singola nota contenuta nell'opera, la più bilanciata e formalmente corretta della loro produzione discografica. La più matura da un punto di vista compositivo, e la più densa di sfumature dal punto di vista degli umori descritti (lapilli incandescenti di un'estenuante lotta interiore, fatta di cinismo, disincanto, desolazione, ma anche di impeti eroici, slanci spirituali, fermezza, in piena simbiosi con la cultura neo-folk, nascente nei medesimi anni - e per questo l'opera verrà giudicata seminale all'interno della scena ed apprezzata da molte glorie del folk apocalittico).

E così, accanto alle dolenti note di un pianoforte ed al canto desolato e solenne di un soprano, troviamo repentine esplosioni di archi distorti ed organo al limite del noise; l'ossessività di percussioni ed oscuri mantra canori; una fosca elettronica ambientale e droni disorientanti; il belligerante incedere, infine, di trame industriali d'assalto, infiammate da un'inedita attitudine declamatoria: un percorso che si articola in cinque episodi assai eterogenei e comprendente testi in latino, inglese ed italiano.

E se la matrice rituale rimane rigorosamente intatta, è tuttavia rinvenibile un maggior riguardo alla fruizione da parte dell'ascoltatore: presupposto che eleva l'opera intera, da elitario esercizio misterico, al nobile status di avanguardia artistica.

Ed allora, quale miglior modo per completare il discorso, se non citando quel che gli stessi Ain Soph ci gridano nella intensa title-track:

"Fedeltà è più forte del fuoco

Rialzarsi, risorgere

Creare una forma e un ordine

In piedi fra le rovine

Scegliere la strada più dura

Forgiare il nostro coraggio

Rinati fino nel sangue

Forti del nostro onore

Kshatriya"

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