Kaurismaki (68 anni da poco compiuti) sta perdendo, neppure troppo lentamente, fiducia nel mondo e negli esseri umani, nelle dinamiche padronali e nelle relazioni interpersonali. Forse, non ha tutti i torti, come dimostra il suo ultimo film, datato 2023, "Foglie al vento" che cita nel titolo il classico di Douglas Sirk del 1956 "Come le foglie al vento". 81 minuti (titoli di testa compresi): l'essenzialità fatta pellicola. Come sempre, come tutto il suo cinema: piccole storie di normale quotidianità nel tessuto sociale più povero (e dunque più vulnerabile) della società, poche inquadrature, montaggio ai minimi storici, dialoghi essenziali e nessun volo pindarico. Ciò che serve lo si mostra, ciò che è contorno, superfluo, lo si lascia fuori dall'inquadratura, lo spettatore capirà. Al solito, un'atmosfera sognante (di quei sogni da periferia squallida e poetica), un mondo fuori dal mondo, un tempo che sembra essere fermo a chissà quale epoca (forse a nessuna) e un modo di raccontare storie tanto semplici quanto mai banali con un pudore raro e, a volte, tanto contenuto da risultare a taluni freddo e distante. Lunare senz'altro, fuor di dubbio.

Qui ci sono due solitudini miserrime: una cassiera (licenziata fin dalle prime battute) e un operaio dedito alla bottiglia. S'incontrano per caso in un karaoke, si piacciono, si frequentano ad intervalli più o meno regolari, succedono alcune cose e chissà come finirà. Siamo all'essenzialità pura, ma è la vita quella che Kaurismaki mette in scena, fatta di datori di lavoro oppressivi e farabutti, colleghi (e amici) di lavoro che tentano di ritoccarsi l'età per far colpo sulle donne e una Helsinki grigia e metalmeccanica (abbondano le inquadrature del porto, delle gru, delle merci pronte per essere scaricate e/o caricate) che potrebbe essere quella del 1980 se non fosse per quell'unico aggancio alla realtà che sono le continue notizie provenienti da una radio antidiluviana in cui si dà notizia dei continui attacchi russi su Mariupol e sull'Ucraina in genere (Kaurismaki si è "giustificato" asserendo che la Finlandia sente molto da vicino, confinando con la Russia, il pericolo di una eventuale guerra alle porte di casa).

E' un film nel film, con continue locandine di capolavori del passato sparse ovunque (dai pub alle bacheche dei cinema) e tra un poster di Howard Hawks e uno di Visconti pare che il cinema di Kaurismaki non voglia mai cambiare idea o linea narrativa, eppure qualcosa si muove. Se "L'uomo del passato" (2002) apriva alla speranza e "Miracolo a Le Havre" (2011) s'addentrava in territori di misericordia umana quasi favolistici (seppur ancorati alla realtà: il tema dell'immigrazione clandestina era al centro dell'opera), in questo ultimo film il regista pare totalmente disilluso: sì l'amore salverà gli uomini, li metterà, forse, in condizioni di nuocere meno, ma il mondo è in mano a chi non dovrebbe e il destino, cinico e beffardo, sembra remare contro solo ai poveri cristi (il tema di un destino religioso è un classico topos del cinema nordico, con Dreyer che ne fu Gran Maestro, e certo a Kaurismaki interessa più il destino inteso come fato piuttosto che come un qualcosa di Divino).

Il tutto, comme d'habitude, puntellato da un umorismo sottilissimo a tratti irresistibile: due amici escono da un cinema dove hanno appena assistito ad un filmaccio di serie B di zombies ed esclamano "Mi ha ricordato qualcosa del Bresson del Diario di un curato di campagna", "A me invece Band a part di Godard"; o la battuta finale sul nome del cane "Si chiama Chaplin", e solo guardando il film se ne capisce il senso. Un capolavoro.

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Altre recensioni

Di  'gnurant

 Due persone solitarie, melanconiche, tristi e tenaci lottano con composta caparbietà contro un vento gelido che vorrebbe provare a trascinarle e farle volare lontano.

 "Foglie al vento" è essenziale e poetico nella sua estrema freddezza e semplicità.