Naturalmente un pianoforte.

Puntuale come le tasse. Piantato sul palco. Uno Steinway nero, imponente e minaccioso.

Così come - puntuale come le tasse - il simpatico (si fa per dire) palestinese che mi aspetta fuori ogni singola volta che esco a fumare. Che mi ha eletto a suo amico del cuore da anni ormai. E che non si dimentica mai di me. Nemmeno che l'ultima volta sono scappato via senza ricordarmi della sua povera creatura dimenticata in chissà quale lontano paese. E che - ne sono certo - in questo momento sta piangendo. Non perché gli manchi il padre. Figurarsi. Ma perché il padre non riesce a mandargli quanto necessario per mangiare. Cioè per colpa mia. Che per delicatezza non me lo dice ma me lo fa capire.

Questa volta arrivo ad un accordo. Chiaramente conveniente. Gli mollo cinque euro a patto che mi lasci fumare. Senza rivolgermi la parola. Ne chiede dieci. Tratto. Sette e mezzo sembra accettabile ad entrambi. Affaristi si nasce, cosa ci volete fare?

Il pianoforte dicevamo. Arriviamo prestissimo, tipo un'ora prima. Già mangiati. Eppure è pieno zeppo. Unico posto libero? Indovinate... Sì, manca poco che ci mettano il cartellino riservato. Riusciamo però ad apprezzare le due fondamentali migliorie rispetto alla volta precedente:

  1. c'è chi questo pianoforte lo suonerà
  2. riusciamo a scegliere un tavolo non proprio addosso. Così avremo una visuale - oltre che ovviamente del pianista - di metà Al Di Meola, di quasi tutto un percussionista, della testa del batterista.

Al Di Meola, dunque. Storico chitarrista. Storico, famoso e importante. Oddio, la mia capa, che dice di essere diplomata al conservatorio, le butto lì nel pomeriggio facciamo in fretta che devo andarlo a sentire. E lei risponde non so chi è. Boh, sono stranezze. Già un paio di volte le ho buttato lì qualche citazione operistica, e ancora mi casca dalle nuvole. Incompatibilità artistica?

Ma insomma, vada come vada ce la facciamo a finire in fretta, ed eccoci qua. Con il famoso o quasi chitarrista che è - o sembra almeno - molto più giovane di quanto immaginassi. Camicia bianca, jeans e occhiali. Ovazione appena entra.

Più un pianista che sembra Boris Spassky da vecchio, un percussionista che sembra un bagnino, di quelli che se sei in un club di vacanze estive manda in estasi tutte le fanciulle e un batterista di cui vedo solo la testa, e la pettinatura, e secondo me viene dall'Oklahoma. Non lo so perché, ma sono sicuro che se uno si pettina così, tipo che già se da noi lo facevi negli anni cinquanta ti prendevano in giro perché sembravi vecchio, allora devi essere dell'Oklahoma. Tutti e tre, questi personaggi, suoneranno dietro delle barriere di plexiglass trasparente. Perché? È la domanda lancinante della sera. Risposta non c'è, o forse chi lo sa, perduta nel vento sarà...

Al Di Meola davanti. Ha una velocità nel muovere le dita sulla chitarra che è impressionante. Davvero spaventosa. Per un'ora e mezza ci impressiona. Proponendo una serie di brani che mandano in estasi il pubblico. Tipo chitarra spagnoleggiante, con il bagnino che fa guizzare i suoi muscoli percuotendo campanellini, tricchetracche e quant'altro, con Boris Spassky da vecchio che ogni tanto usa una mano sola, e con il batterista dell'Oklahoma che bada a non scompigliarsi la pettinatura. Ecco avete presente una serie di canzoni con una chitarra spagnola, una batteria, le percussioni, qualcosa al piano? E alla fine sempre un botto. Al termine di ogni canzone Al Di Meola dice olé. Per un'ora e mezza. Bello. Vario, soprattutto. Emozionante, soprattutto.

Poi - per fortuna - concedono due bis.

Ecco, questi due bis sono state due canzoni con chitarra spagnoleggiante, un percussionista bagnino tonico e guizzante, un Boris Spassky ancora sveglio nonostante l'ora, un batterista dell'Oklahoma sempre ben pettinato.

E un pubblico in delirio.

E uno, tra il pubblico, che già da tempo guardava l'orologio e non vedeva l'ora di risentirsi Pres and Teddy, come adesso.

Carico i commenti... con calma