Il concept album è una sfida, uno stimolo, ma può essere anche una limitazione, un vincolo che restringe il campo della spontaneità, e forse proprio per questo motivo Al Stewart non ha mai affrontato questa sfida se non nella maturità avanzata. Pur considerando "Between The Wars" e "Down In The Cellar" due ottimi dischi, il proseguo della sua carriera conferma ulteriormente che la vera vocazione di questo artista rimane comunque lo schema libero e, con un pizzico di saggezza, la preziosissima esperienza di decenni di carriera e tanta ispirazione Al Stewart riesce a tornare proprio lì, sui livelli espressi nel periodo 1976-1980.

"A Beach Full Of Shells" del 2005 non è solamente il suo album migliore dai tempi di "24 Carrots", ma elabora un nuovo metro stilistico facendo tesoro di tutte le esperienze passate; anche "Famous Last Words" era un ottimo disco con tante bella canzoni, ma ABFOS riesce a finalmente a ricostruire un discorso fluido ed unitario anche se non legato ad una particolare tematica, ricollegandosi così a quanto Al Stewart aveva sempre fatto dagli esordi fino al 1980. Nello specifico, la proposta musicale di "A Beach Full Of Shells" consiste in un pop folk maturo, prevalentemente acustico e nobilitato dalle consuete citazioni colte; è la perfezione di Al Stewart, l'evoluzione finale del suo metro stilistico; qui il cantautore di Glasgow appare come un novello Ulisse che, dopo aver affrontato molteplici peripezie ed avventure più o meno felici, ritorna finalmente nella sua Itaca, arricchito da un bagaglio incalcolabile di esperienza e fortificato nelle sue certezze, che guarda senza paura ad un tramonto radioso, con la serenità di chi sa di aver sempre agito con grazia e decoro, senza mai perdere la propria dignità.

"This is the Mona Lisa talking out of a patch of oil and water, over the street lamps and the river, out of a smile that last forever, go home pretty baby, go on home pretty baby, you will go home to the one who is waiting for you, anything that you want, anything that you do, you will go home to the one who is waiting alone for you"

Una ballata calda ed avvolgente come il conforto di una persona amata, con un leggero tocco soul e cori femminili che rimandano con la mente al Leonard Cohen di "Ten New Songs", questa è "Mona Lisa Talking", uno degli esempi più alti di "A Beach Full Of Shells", di quanto Al Stewart abbia ancora da offrire, in tutta la sua spontaneità e il suo calore umano. In questo album il cantautore scozzese si esprime spesso e volentieri in una prospettiva di un narratore in prima persona; lo ritroviamo alle prese con vecchi oggetti e ricordi del passato in un bellissimo walzer dai toni surrealistici come "Catherine Of Oregon", o ancora tornato bambino in "Mr. Lear", squisito e vivace omaggio per il bizzarro poeta inglese Edward Lear e le sue composizioni al limite del nonsense, oppure rievocare l'epopea del rock 'n' roll in "Class Of 58". I riferimenti storici sono più aperti, più sfumati rispetto ai suoi standards, una caratteristica unica di "A Beach Full Of Shells", la guerra, le riflessioni di un uomo costretto a nascondersi nella grondaia di un consolato per salvare la propria vita in "Rain Barrel", ironica e disperata al tempo stesso, oppure le vicissitudini di due amanti, membri di famiglie reali di due paesi presumibilmente rivali, rievocate in una struggente ballad in minore come "Royal Courtship". Aperto dalle spericolate acrobazie degli aviatori pionieristici di "The Immelman Turn" con i suoi fascinosi arabeschi d'archi e chiuso da una stupenda "Anniversary", la storia di un uomo che, stanco di una vita borghese vuota e priva di emozioni genuine, decide di sparire nel nulla, lasciandosi tutto alle spalle, questo album contiene una delle canzoni più ambiziose dal punto di vista autorale, e più affascinanti dal punto di vista emotivo del repertorio stewartiano, "Somewhere In England, 1915", un fine lavoro cantautorale carico di spleen e di episodi e personaggi di un'Inghilterra in bianco e nero, ormai lontanissima nel tempo, rivissuti come in un sogno. Il fascino evocativo e la bellezza di quella melodia acustica orchestrata con gusto e sobrietà, che riecheggia vagamente alcuni episodi del Francesco de Gregori di metà anni 70, fanno di questa canzone il fulcro dell'album, l'erede di "Year Of The Cat" volendo, e forse anche un ricordo, un ultimo addio alla nazione in cui è nato e cresciuto Al Stewart, prima di Lady Diana, prima degli Oasis, prima di Robbie Williams. 

La britishness è un tratto fondamentale e caratterizzante di questo album, il più "nazionale" della carriera di Al Stewart, in maniera ancor più evidente dell'esordio "Bedsitter Images", senza stereotipi e ruffianerie. Parlare di personaggi a noi poco noti come Lonnie Donegan, Edward Lear, Violet Asquith e Siegfied Sassoon può apparire come snobismo, elitarismo per qualche superficialotto "al passo coi tempi", ma a noi questo non importa, perchè chi nasce poeta non può e non deve morire cortigiano, mai, in nessun caso, e per realizzare un album come questo non basta neanche un talento straordinario, servono anche qualità umane e morali veramente importanti e profonde. Rigettare il conformismo, l'omologazione, rimanere fedeli a sè stessi, "To strive, to seek, to find and not to yield", per dirla come Alfred Tennyson, ed allora passano in secondo piano, quasi non si tiene conto di tre o quattro episodi appena più ingessati ed inferiori alla media qualitativa di questo splendido album, la cui valutazione corretta sarebbe un 4.5, preludio ad una perfezione ad oggi e forse definitivamente sigillata con l'album successivo.

Elenco e tracce

01   The Immelman Turn (04:39)

02   Mr. Lear (03:00)

03   Royal Courtship (04:10)

04   Rain Barrel (04:00)

05   Somewhere in England (06:56)

06   Katherine of Oregon (03:07)

07   Mona Lisa Talking (04:26)

08   Class of '58 (04:10)

09   Out in the Snow (02:51)

10   My Egyptian Couch (02:18)

11   Gina in the Kings Road (03:49)

12   Beacon Street (02:20)

13   Anniversary (02:52)

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