Batman: The Killing Joke  di Alan Moore, Brian Bolland & John Higgins (Gbr) 1988. In Italia pubblicato nel 1990 in allegato (76) a "Corto Maltese"

Alan Moore è senz'altro tra i più fottuti geni che la storia del fumetto ricordi: pochi come lui hanno saputo rivoluzionare il mondo dei balloons, grazie ad un'inventiva fuori dal comune e ad una verve creativa che, pure nei pochi scampoli puramente citazionisti concessi nella sua carriera, ha sempre mantenuto degli standard originalissimi e molto personali, sapendo creare veri e propri universi immaginifici che lo pongono di diritto con Frank Miller e Neil Gaiman nella Sacra Trinità Fumettosa degli ultimi 30 anni di storia (poi sta alle singole sensibilità scegliere chi preferire tra i tre...)

Talmente vasta la sua opera che scegliere qualcosa da recensire sarebbe fonte di estremo imbarazzo anche per il più elegante tra i critici: figuratevi per il sottoscritto. Certo avendo scelto di cimentarmi in questa meravigliosa sezione "interiore" di DeBaser con opere provenienti da quel fantastico mondo dell'"Altraletteratura" che è il fumetto prima o poi con lui avrei dovuto in- o s- ()contrarmi (anche qui dipende dai punti di vista) perciò via il dente, via il dolore!

Certo,"The Killing Joke" non è sicuramente la sua opera più famosa (e nemmeno la più rappresentativa) ma dal punto di vista affettivo e per almeno tre peculiarità è la prima che mi viene in mente ogni volta che viene citato il suo nome. Faccio presto a citare le caratteristiche di cui ho appena fatto cenno perchè mi basta dire tre parole: Batman, Nemesi e 48.

Tralasciando la parola "Batman" (il mio supereoe preferito), perchè già dal titolo si capisce di cosa sto parlando, le seconde due parole stanno a significare rispettivamente il topic del Comic Book in questione (va meglio questa dicitura Ghemi?) e la sua durata: in poco meno di 50 pagine infatti Moore riesce a dare una delle più coinvolgenti e credibili riletture non solamente dell'Uomo Pipistrello ma, soprattutto, del rapporto con il suo nemico per definizione (lo vedete bello sorridente nella copertina): penso che nessuno avrà nulla da ridire se affermo che le recenti riletture del personaggio (comprese quelle cinematografiche) trovano ispirazione (oltre che nel già citato ed inevitabile Miller) abbondantemente in questo piccolo ma grande fumetto.

Moore, infatti, non si accontenta di narrare ma reinventa quasi da zero la vicenda del Joker, alla fine vero protagonista del fumetto, dandogli una collocazione sia affettiva che "umana" (prima che qualcosa, narrato qui, lo facesse diventare "disumano") che non solo ha modificato gran parte delle avventure di li a venire ma che pone anche un significato nuovo a gran parte del passato. Affascinante leggere avventure cronologicamente precedenti immaginandosi l'antefatto creato dallo scrittore britannico: Batman non può esistere senza il Joker e finirebbero ad uccidersi a vicenda se il primo non avesse l'ossessione (al limite della sanità mentale) per le regole, eppure è nell'instabile equilibrio del Pipistrello che potrebbe nascere la volontà di sottrarre entrambi da un gorgo di violenza senza fine ma, si sa, si può salvare solo chi vuol essere salvato e l'interlocutorio finale lascia aperte molte questioni.

Questioni come l'amarezza del Joker nel constatare di esser prigioniero di un destino che lo costringe a spingersi sempre di più oltre il limite: nella disperata ricerca di costringere Batman nella stessa follia. Per unirli nella fine così come è simile ciò che ha creato entrambi e non rendersi conto se questo progetto sia un atto di crudeltà o di estrema empatia è la vera pena a cui è condannato.

"Joker: Ho dimostrato che non c'è alcuna differenza tra me e chiunque altro-basta una giornataccia per trasformare l'uomo più sano del mondo in uno svitato! Ecco quanto disto dal mondo: solo una giornataccia!"

Forse Moore l'ha bem presente questa brutta giornata...

 

C.G. (Girlanachronism)

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