In uno dei miei film preferiti, dove la trama e la colonna sonora si intrecciano meravigliosamente con l'atmosfera di una Dublino di periferia di fine anni '80, ho deciso di tornare a scrivere una De-recensione in 2 parti: la prima nella sezione "oculistiche" e la prossima nelle "acustiche" parlando della (meravigliosa) colonna sonora.

Il film in questione si tratta di "The Commitments", venne girato nel 1991, diretto da Alan Parker e racconta la storia di Jimmy "cacciaballe" Rabbite,  che tira a campare percependo da anni il sussidio di disoccupazione e arrotondando smerciando musicassette e film pirata nei vari mercatini rionali  o sui treni.

Perché Jimmy (Robert Arkins) è il protagonista indiscusso della storia, è bello, pigro ma intelligente.. e ha molto senso pratico. Così accetta l'offerta di Dereck e Outspan (chitarrista e bassista) diventare il loro  band-manager a patto di avere il controllo creativo su tutto il progetto, ovvero di poter decidere, dopo estenuanti provini e audizioni (anche sulla porta di casa o addirittura in mezzo alla strada), gli altri membri del gruppo. Decide a questo punto quale sia il genere che la banda suonerà: data la provenienza di quasi tutti i componenti, si vorrà esprimere con le sette note la vita dell'operaio/proletario dublinese di periferia, fatta di fabbriche, sesso e birre. Niente parole sdolcinate, solo ritmo percussivo, tette, cosce, pomiciate e scopate, vita di strada e sbronze colossali.

Aloora è deciso: si suonerà musica SOUL.

 La ricerca dei componenti del gruppo continua, ad un certo punto si presenta a casa di Jimmy un misterioso Joey "Labbra" Fagan, che sostiene di aver suonato con tutti i più grandi della musica. Nonostante non riesca mai a provare la veridicità delle sue "imprese", nessuno riuscirà a trovare prove contrarie. Dopo aver scelto  tre belle coriste (Angeline Ball, Maria Doyle, Bronagh Gallagher) un sassofonista disoccupato, un pianista studente di medicina, un batterista burbero e un cantante eccellente ma che se la tira, possono avere inizio le prove. Dopo i primi risultati discutibili il gruppo inizia ad ingranare e Jimmy riesce ad organizzare un concerto al centro parrocchiale, aiutato da un prete appassionato di musica. La "prima" com'era prevedibile, inizia con mille gaffès causate dall'emozione di tutti i componenti, ma poi il pubblico (i pochi parenti e amici) si lascia andare e si scatena sotto il palco. Proprio nel crescendo finale però, il cantante Decko solleva il microfono à là James Brown e prende in pieno il bassista che letteralmente "funge da massa a terra" e viene percorso da una scarica elettrica da 220 volt che causa il suo svenimento e un black-out all'edificio.

Dopo varie peripezie, litigi e tensioni all'interno del gruppo il batterista lascia la band e viene sostituito con un pazzo furioso (che sembra Keith Moon da come suona la batteria),  le asprezze però non vengono stemperate, le tre "disinibite" ragazze si azzuffano, i ragazzi sono intrattabili e cantante se la tira un macello. Ma Jimmy, che è il manager, tiene duro, cerca di raffazzonare i legami e porta il gruppo ad avere una  fama notevole nella capitale irlandese, i locali della città infatti si riempiono di gente ogni sera, per vedere suonare il DUBLINO-SOUL.

Potrebbe sembrare una favola a lieto fine, ma questo film è una fotografia della realtà, e come ogni storia metropolitana, anche questa finisce e il gruppo dopo un concerto litiga furiosamente e si scioglie tra le imprecazioni di Jimmy, che se ne torna a casa sotto la pioggia.

Al di là della bellisma trama, in questo film (parlo ovviamente da profano) mi colpisce senza dubbio l'attenta fotografia e la cura dei dettagli dell'atmosfera Dublinese: in ogni inquadratura salta all'occhio lo squallore delle periferie cittadine, i fannulloni che non hanno niente da fare dalla mattina alla sera attratti da qualsiasi evento capiti, la malavita che gira intorno ai quartieri più miseri ritraggono un contesto pessimistico, ma il regista ci spiega che Dublino è si una città povera, ma è anche ricca di speranza, a testimonianza di centinaia di bambini rispresi a giocare in ogni dove. I bambini rappresentano il futuro di ogni città e il tasso di natalità di Dublino ( il più alto d'Europa) fa capire che si tratta di una città giovane, creativa e con l'anima ribelle dell'artista di strada.

Forse è questa la differenza con le nostre grandi città italiane.

Come disse Jimmy Rabbite alla band. "Gli Irlandesi sono i più negri d'Europa, i Dublinesi sono i più negri di Irlanda e noi di periferia siamo i più negri di Dublino. Perciò ripetete con me: sono negro e me ne vanto."

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