A quasi due anni dall'uscita del suo primo disco solista ("Yours To Keep"), il vecchio Albert di fama strokesiana fa uscire la sua seconda fatica.
E che si sia trattato di un lavoro faticoso, non tirato via, e molto curato, è evidente.
Tutti gli Strokes sono noti per essere grandi lavoratori, perfezionisti del sound, sempre alla ricerca della canzone perfetta, della creazione del disco ideale "all killers, no fillers", e questa filosofia ha portato senza dubbio a degli ottimi risultati: senza inoltrarsi in pareri troppo soggettivi, è quasi superfluo ricordare l'impatto e la qualità di tante loro canzoni.
Ora, dopo tremila interviste, dopo l'esaltazione più che giusta delle ore passate a provare e riprovare in fatiscenti cantine new yorkesi, dopo il successo, la fama e le squirties, è lecito aspettarsi che i dischi di uno dei loro due (ottimi) chitarristi seguano lo stesso filo.
Purtroppo, la realtà è che, se "Yours To Keep" presentava 4-5 ottimi brani un po' dispersi in mezzo a canzoni piacevoli, questo "¿Cómo Te Llama?" segna un passo indietro. Dopo alcuni ascolti, posso riconoscergli una prima metà piacevole, ma mai brillante, e una seconda metà afflitta da un songwriting scadente. Duole dirlo, perché il buon Albert sembra essere davvero un bravo figliolo: mette i pezzi su myspace, il disco era comunque in rete prima della sua uscita, e tutto è stato ben prodotto e sicuramente curato nei dettagli, nessun dubbio quindi sull'"onestà" dell'opera.
Il primo problema è tanto semplice quanto crudele: Albert è probabilmente fondamentale nel completare le idee dell'unico vero songwriter degli Strokes (Casablancas), ma quando si tratta di scrivere pezzi propri non riesce quasi mai ad avere ispirazioni che trasformino una canzone da piacevole a eccezionale. E purtroppo, quando manca l'ispirazione, anche 12 ore consecutive a lavorare su un riff non possono produrre enormi risultati.
Il secondo problema, di natura comunque affine, riguarda la voce. Gli effetti alla David Bowie o alla Alex Chilton, tipicamente seventies, utilizzati per tutte le tracce vocali, non possono coprire quello che è evidente: Albert Hammond Jr è un ottimo chitarrista, ma non è un cantante. Oltre ad avere idee molto classiche e poco innovative per le linee vocali (soprattutto in questo disco), non ha la voce per esprimere al meglio le intuizioni migliori. Basta guardare un qualsiasi live per rendersene conto: voce debole e priva di carisma. Molto ben prodotta, ma piatta e poco espressiva. Ed anche per questo problema, dubito che ci sia molto da fare.
Si tratta comunque di un musicista generoso (due dischi in due anni, a ridosso dell'ultimo disco degli Strokes, tante tourné ecc.) e il frutto di tanto lavoro si sente in ogni caso. I suoni sono molto belli, ed includono, oltre al classico vintage sound potenziato, alcuni momenti più "strani", come batterie effettate e bassi friggioni.
Tutta la prima metà del disco suona come un piacevolissimo mix tra rock anni '70 di alta qualità (i Big Star del già citato Alex Chilton su tutti, secondo me) e sprazzi di modernità, soprattutto nelle parti di chitarra, e vale sicuramente diversi ascolti.
Albert questo disco l'ha scritto e suonato onestamente. Credo si possa dire, senza invidie e rancori per i suoi dollaroni, il suo successo e la sua fidanzata top model rachitica biondina inglese, che purtroppo lo sforzo e l'esperienza non sono bastati a farne un disco sensazionale. Io rimango comunque un suo fan (un po' deluso).
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Altre recensioni
Di JULIANHAMPSHIRE
Melodie dal sapore quasi retro’ mescolate a riff che sembrano usciti dalle session di "Room on fire".
Un disco breve e senza troppe pretese, ma godibile e mai noioso.
Di Listening Room
Albert Hammond Jr qui riesce a esprimere finalmente il suo stile, confermando le qualità di buon chitarrista ma non solo.
Un cd che non stanca mai, adatto ad ogni momento, da ascoltare spensierati, battendo il tempo con il piede.