Ossimori.

Shelter, il nuovo album degli Alcest è un ossimoro. Un disco solare ma oscuro, un disco allegro ma triste. Shelter è qualcosa che non ti immagini, che ti spiazza ma che alla fine riesce ad entrarti dentro ed emozionarti. Al terzo disco i parigini Alcest si sono spogliati di tutto e mostrati per quello che veramente sono, per ciò che veramente volevano fare. Senza più l'armatura metallica, senza più un muro pesante a proteggerli. Gli Alcest sono riusciti in un'impresa non facile. Sono riusciti a rimanere fedeli alla propria natura nonostante il radicale cambiamento musicale. Sono riusciti a fare un disco che sicuramente non piacerà a molti, ma che toccherà l'anima di tanti.

Questo disco è come un gabbiano, che indugia sulla sabbia bagnata dal mare invernale. Un gabbiano che apre le ali esitante, e poi spicca il volo. Si libra nell'aria plumbea e sale sempre più in alto, fino ad oltrepassare le nubi e trovarsi nell'azzurro cielo. Questo azzurro cielo è "Opale" primo singolo e brano più sereno di questo nuovo lavoro degli Alcest. Un piglio diverso dal solito, che strizza l'occhio a un certo dream-pop, allo shoegaze più pulito e fresco degli M83. Il resto del disco si copre di malinconia, di sogni in solitudine, e diventa come le mani che bloccano la luce della copertina. Nella lenta e toccante "Voix Sereine", sotto gli strati di morbidezza dream e shoegaze, si scorge uno strato più ruvido, più triste, più nero. Uno strato che non affiora mai in superficie, ma che lascia stupefatti e commossi. La bellissima e atmosferica title-track dimostra come una (ex) band metal possa estrarre dal cilindro un piccolo capolavoro ispirato all'epicità dei Sigur Ròs senza distruggere tutto ciò che hanno fatto in passato.

Il gabbiano continua a volare in alto, lasciandosi trasportare dalla melodia intensa e struggente, attraverso le nubi grigie penetrate da deboli raggi di sole. E come si fa a non lasciarsi trasportare dalla toccante "Away", una spettacolare canzone che ha il sapore del post-rock più soffice. Il gabbiano ora è felice, è sereno e si sente meno solo. Sente la brezza marina attraversargli le piume candide, sente di essere libero e poter sfuggire a quelle nubi scure. Nubi scure che nella lunga finale "Dèlivrance" si diradano lentamente, solo dopo averti fatto sentire per l'ultima volta la loro incombente pesantezza. Dieci minuti di pura emozione, semplice ma diretta e struggente.

Il gabbiano vola, si lascia trasportare dalla musica, senza più alcuna paura di cadere e di perdersi. Il mare dall'alto è un sogno blu, un paradiso invernale che mette in pace l'anima. Il gabbiano si alza ancora, sbatte le ali fiero e sparisce nel cielo terso, avviluppato dai raggi del sole che riscaldano tutto il paesaggio intorno a lui. E non ha più paura di cambiare direzione, perché sa che qualsiasi strada prenderà, sarà quella giusta.

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