A dodici anni di distanza dal kolossal Titanic, torna nelle sale un film targato James Cameron ed è un ritorno trionfale quello del regista di Kapuskasing, con una pellicola che promette di diventare il caso cinematografico non solo del neonato 2010 ma del prossimo decennio: Avatar.

Basterebbero solo alcuni dati a spiegare tanto clamore: quindici anni di lavorazione, 200 milioni di dollari di budget, di cui gran parte investiti per il pieno sviluppo delle tecniche di computer graphics, con macchine da presa addirittura create appositamente per la ripresa diretta in 3D, al fine di impiegare come mai fatto prima d'ora il nuovo Digital 3D, sviluppandone tutte le potenzialità, mutandone la concezione in maniera rivoluzionaria, tramutandolo da mero espediente estetico, da elemento quasi ludico della visione, in elemento primario, fondante dell'opera stessa.

Un'operazione "titanica" appunto, come solo James Cameron sa fare, volta a dar finalmente forma alla visione che il regista aveva sin dal ‘95 e alla quale aveva dovuto rinunciare per le allora troppo acerbe tecniche di animazione. Quella visione aveva un nome: Pandora, il variopinto mondo alieno teatro dello scontro fra gli umani e gli indigeni Na'Vi, un mondo sospeso tra realtà e fantasia, incredibilmente estraniante eppure così vero. Un realismo impossibile da realizzare senza la nuova generazione di effetti speciali messi a punto dai tecnici della Weta Digital, effetti speciali finalmente al servizio dell'opera e non, come troppo spesso avviene, semplice riempitivo o artificio.

Ma veniamo alla trama: nel 2154 una compagnia terrestre vuole conquistare il pianeta Pandora per impadronirsi di un particolare minerale che risolverebbe una profonda crisi energetica, ma l'atmosfera aliena è irrespirabile per gli umani che hanno perciò geneticamente sviluppato un ibrido umano/alieno denominato avatar, ibrido che un uomo può controllare collegandosi ad una sofisticata interfaccia mentale che gli permette di vivere nel suo simulacro. Jake Sully, un ex marine divenuto invalido, viene scelto per controllare un avatar inviato sul pianeta col preciso scopo di mescolarsi agli alieni Na'Vi, primitivi e pacifici, apprenderne gli usi e i costumi, e tentare poi la via diplomatica. Jake però cambierà idea e si schiererà al fianco dei suoi nuovi simili per difendere Pandora dalla sanguinosa invasione.

Ad un primo sguardo nulla di trascendentale; la vicenda, non certo innovativa, appare quasi un mix fra Matrix e Balla coi lupi, ma è la straordinaria modernità, non solo tecnica ma concettuale, a rendere Avatar speciale, tramutandolo in una riflessione metalinguistica sul mezzo cinematografico stesso. I più attenti infatti scorgeranno nella vicenda i germi di un nuovo modo di concepire il cinema ed il tentativo di abbatterne i confini, un progettato rinnovamento strutturale incarnato metaforicamente dal personaggio di Jake Sully. Questi, costretto all'immobilità dal suo handicap, impara pian piano a muoversi nel nuovo corpo e a familiarizzare con la nuova realtà. Allo stesso modo lo spettatore, bloccato in poltrona, si muove come Sully nella sua esperienza "avatar": dapprima inebetito e strabiliato, impara presto a conoscere il nuovo ambiente, fino a venirne avvolto, a divenire parte di esso, proprio come gli alieni Na'Vi sono in comunione spirituale con il loro pianeta.

Ecco lo straordinario merito da riconoscere a Cameron: essere riuscito a rivoluzionare, o meglio a potenziare, il dispositivo cinematografico classico (la sala buia, le poltroncine, la cabina, il proiettore, lo schermo bianco) ed aver così davvero infranto la barriera dello schermo, portando lo spettatore all'interno della finzione mutatasi così in realtà. Grazie a quest'incredibile magia Avatar potrà allora non solo essere per la fantascienza odierna ciò che fu Blade Runner trent'anni fa ma, dal punto di vista della modernità, valicare i confini del genere e diventare una pietra miliare per il cinema tutto. Non perdetelo.

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