L'etichetta californiana Windham Hill, una delle più controverse degli ultimi trent'anni, ha prodotto in egual misura opere sublimi e inascoltabili polpettoni, ha lanciato con la stessa attitudine artisti eccezionali (un nome su tutti: Michael Hedges) e cialtroni interessati solo al conto in banca. Per fortuna il tempo ha provveduto a fare la sua scrematura e, mentre gli artisti veri hanno continuato per la loro strada, la maggior parte di chi aveva cavalcato la moda della "New Age" è giustamente finito in un limbo di musiche da supermercato.

Alex De Grassi appartiene decisamente alla schiera degli artisti da salvare. Maestro delle accordature aperte, il chitarrista, partendo da una matrice folk (John Fahey e Leo Kottke tra i suoi dichiarati maestri) ha poi inseguito la propria ispirazione in molteplici direzioni, con timide incursioni sia nel jazz che nella musica sudamericana. Dopo gli eccellenti "Southern Exposure" e "Turning: Turning Back" (pubblicati appunto dalla Windham Hill) due piccoli monumenti alla bellezza della chitarra acustica, e qualche sbandata in ambito etno-fusion, che comunque ha prodotto opere tutt'altro che disprezzabili ("Altiplano", "The World's Getting Loud"), il nostro ha diradato la produzione, concentrandosi sullo studio dello strumento, affiancando all'amata seicorde la chitarra a dodici corde e la "Sympitar", una curiosa chitarra dotata di corde interne risonanti, di grande impatto acustico.

Infine, forse non soddisfatto dal trattamento che una grande major può riservare a un musicista tanto particolare, ha fondato una sua etichetta, la Tropo Music, presso la quale nel 1998 è uscito questo "The Water Garden". Qui come in molti altri suoi lavori, la chitarra acustica, in totale solitudine, è protagonista assoluta. L'iniziale "Prelude" mostra da subito come il nostro, basandosi su un eccellente lavoro della mano destra, sappia creare serrate successioni di arpeggi, che immergono l'ascoltatore in un flusso di note molto suggestivo.

De Grassi ha il dono dei grandi, quello di celare una tecnica sopraffina dietro ad una apparente semplicità. Mentre ci culla con le sue limpide melodie, intreccia senza soluzione di continuità ritmo, melodia e armonia ("Another Shore", "Ripple"). Molte delle composizioni mostrano una bellezza austera, quasi "classica", con una vena sottilmente malinconia ("The Water Garden", "Cumulus Rising"). Ma sono il sorriso e l'innocenza a vincere quando il chitarrista si immerge nell'amato, americanissimo, folk acustico di "The Zipper".

La musica del disco somiglia alla cristallina superficie di un lago, appena increspata da una tiepida brezza. Meditazioni chitarristiche ("Endless Rain"), momenti di grande pace e rilassatezza interiore, ritmicità prevalentemente sottointesa, anche se il nostro non disdegna approcci maggiormente percussivi allo strumento, come in "Lost In The Woods" e "Vanishing Point". Un'opera che a un ascolto distratto potrebbe apparire monocorde, ma che invece necessita di attenzione, in modo da fare affiorare i suoi numerosi, piccoli tesori sommersi.

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