Coincidenze.

Siamo scesi in città in macchina, la mia, in quanto lui, fino a quando gli accertamenti non saranno terminati, non può più guidare. Sto ascoltando da qualche giorno Elvis Presley e nello specifico è la melodia di "In The Ghetto" quella che rimbalza maggiormente tra i finestrini mentre mangiamo l'asfalto bagnato che ci separa dal cinema. Quella canzone tornerà in una scena del film e le probabilità che tra i 16 GB di canzoni potessi scegliere proprio quella melodia... Beh, non erano molte.

É un periodo in sintonia con il meteo uggioso e freddo, durante il quale sono tornato a passare molto tempo a casa dei miei genitori. Potrei dire che, dopo aver abbandonato il nido, mi sono quasi ritrasferito. Lui manifesta qualche preoccupante problema di salute e nell'attesa dei risultati voglio passare molto tempo in sua compagnia perché gli somiglio e sento quello che non dice a nessuno e si tiene per sé. La seconda coincidenza è che anche il protagonista di questo lavoro di Alexander Payne è un genitore anziano che ha più o meno la stessa età del mio. "Nebraska" in maniera originale, non solo per la scelta azzeccata di utilizzare il bianco e nero che ben si sposa con il panorama desolante e gli spazi infiniti fotografati a più riprese, sviscera il rapporto di un padre e di un figlio nel momento in cui, per motivi di età e salute, i ruoli cominciano ad invertirsi.

Durante la proiezione mi sono girato verso di lui e avrei voluto fare una cosa che non ricordo di aver mai fatto: abbracciarlo. É perfettamente lucido, ma si sente legato nell'esprimere i pensieri, fatica a trovare le parole e deve utilizzare con sforzi tremendi, che mi distruggono ripensando alla sua antica abilità oratoria, sinonimi che non sempre fanno al caso. Quello che lo ha terrorizzato è vedere la calligrafia tramutarsi in un qualcosa che gli somiglia, ma non è la sua. Non so mai se sia il caso di aiutarlo quando incespica in un silenzio oppure se quelle pause gli possano essere da sprone. Ho mandato in ferie la mia vita sociale e con mia madre cerco di andare spesso al cinema, farlo parlare, di stimolarlo a leggere e a scrivere per esprimere le sue opinioni. Che bella scrittura aveva. Gli ho regalato una Moleskine e ho scritto nella prima pagina quello che non ho mai avuto il coraggio di dirgli, ma è stata un'idea del cazzo perché fa troppa fatica e allora desiste se non lo obbligo. Ora sono io a fargli fare i compiti. Semplicemente assurdo! Lo sgrido bonariamente con un falso sorriso di gesso stampato in viso e penso a quando era lui che, senza tanti sorrisi a dire la verità...
Lo osservo mentre il film prosegue e ride quando c'è da ridere, ma per gran parte dell'opera sono risate amarissime quelle che il regista ci regala. Sono risate storte, sbilenche e affilate, specie per chi è avanti con gli anni e soprattutto per chi comincia ad avere qualche problema. E io mi domando per quale stronzo motivo non ho letto la trama. Non posso fare a meno di sentirmi un emerito coglione, un sadico e un masochista, perché un film peggiore di questo non l'avrei potuto scegliere con tutto l'universo a disposizione.

Certe volte penso che sarebbe stato meglio se i miei fossero stati più giovani: quando sono nato avevano già passato da qualche anno gli anta e così ora io non ho ancora una mia famiglia e delle priorità, chiamiamole responsabilità, che mi tengano occupato e giustifichino in parte un minor coinvolgimento. Che schifo! Mi piacerebbe poter dire che, quando mi sono accorto che qualcosa non andava, il mio primo pensiero sia andato a mio padre, ma la verità è che ho detto a me stesso "speriamo non sia quella roba subdola che finisce con la "er" perché, a quanto ne so, può essere ereditaria". Il film tratta proprio dell'egoismo dell'essere umano, del suo essere subdolo e utilizza come contrappeso un figlio meraviglioso che fa quello che pochi farebbero. Mi viene in mente uno splendido passaggio di Saramago in "Le intermittenze della morte". Spero sia solo un piccolo ictus in parte curabile e non quella cosa degenerativa che non riesco nemmeno a pronunciare: ma nel caso Walt Disney non volesse passare di qua, sarò capace di avvicinarmi al figlio di quest'opera cinematografica o al nipote di quel libro? Mi ricordo che avevo scritto su debaser un editoriale molto duro anni addietro sull'argomento e per rinfrescarmi la memoria me lo rileggo di tanto in tanto per ammazzare queste notti insonni. Cedo talvolta all'immagine di una mano che accende un interruttore; cominciare a credere non sarebbe male perché è in momenti come questi che farebbe comodo avere una stampella.  Ma non funziona così ed in fondo non sarebbe nemmeno giusto: devo affrontare la realtà soffrendo e aiutando, senza spacciatori di eroina spirituale e false speranze. E vaffanculo!

Tutto questo ghirigori personale, scusate, per dire che Alexander Payne ha fatto un bel lavoro. Rispetto ai toni leggeri e un po' paraculi di "Sideways" e "Paradiso Amaro", comunque a mio parere più che godibili, torna indietro in direzione di "A proposito di Schmidt" ma con una forza maggiore e senza cali per tutta la durata dell' opera. Utilizzando una toccante fotografia, una colonna sonora cucita ad hoc sulle immagini, dialoghi incisivi resi molto bene dal cast omogeneo, (cercatevi i nomi su wikipedia, non chiedeteli a me), ha saputo unire dramma, deprimente realismo sulla società contemporanea, con una straziante dolcezza ed una punta di sarcasmo. Il risultato è un lavoro cinematografico che colpisce profondamente lo spettatore. Il rischio era quello di realizzare un melenso e immangiabile polpettone retorico. Certo, mi ritrovo a pigiare tasti nella notte con acqua salata che mi scende dagli occhi. Roba liquida che mancava da un paio di anni almeno, ma questo è solo perché queste piccole tremende coincidenze, queste precise coltellate inflitte da un regista-serial killer per caso, hanno reciso delle corde e hanno fatto uscire quello che mi sono tenuto dentro per queste eterne settimane.

Esperienze personali a parte gennaio 2014 mi ha regalato tre buoni film ("La mafia uccide solo d'estate", "Il capitale umano", "American Hustle") una delusione totale con un finale da galera ("Philomena") e una grande opera. "Nebraska". Non la voglio valutare per i risvolti personali che le si sono attorcigliati addosso, ma sono certo che me la ricorderò a lungo, anche se non dovesse prendere delle statuette a marzo.       

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