Prologo

Corso di Francia è il prototipo della strada creata ad immagine e somiglianza dei veicoli su gomma: un largo e rovente nastro di asfalto, attraversabile a proprio rischio e pericolo.

Cammino verso sud, tra la ringhiera ed il guard-rail: un corridoio lungo e stretto di pensieri solitari e di canticchiate frutto dell'ispirazione del momento che nessuno può sentire.

D'improvviso, ecco i tre immensi gusci dell'Auditorium, un po’ immense larve, un po’ tozze navi per viaggi interstellari.

Vicino al sole c’è un’astronave – vuota – e un marinaio assente guarda perplesso in su.

Atto unico

Entro nella cavea con la certezza di vedere, anche se solo per una manciata di brani, due pezzi di storia della musica italiana ed una giovane cantantessa di razza.

L’architettura è molto suggestiva (l’idea di far confluire e defluire tutti da due aperture minuscole un po’ meno, ma vabbè); questo penso mentre raggiungo il mio posto sulle gradinate. Sono in penultima fila, e mi chiedo: se io ho pagato sessanta euro (spesi  - va detto - più che volentieri, visto che si tratta di beneficienza), dove cazzo li hanno messi quelli che ne hanno pagati quaranta?

Ho chiuso le finestre per non lasciare neanche l’aria entrare.

Le prime tre esibizioni (peraltro molto buone, a mio giudizio) sono di altrettante entità musicanti che non conosco: le contaminazioni mediorientali dei Radiodervish e della brava ed inesauribile Etta Scollo colpiscono, e le pennellate classiche di Roberto Cacciapaglia non lasciano indifferenti.

Ma non sono qui per loro, in fondo; e la vista dei capelli grigi del vecchio geniaccio non può che riscaldare i cuori, miei e delle invasate di mezz’età che mi circondano.

Il buon Franco propone dei pezzi recenti, offrendo a mio giudizio una prova non indimenticabile (del resto, non avendolo mai visto dal vivo prima di ieri sera, non ho termini di paragone), ma più che dignitosa.

Il duetto con la Consoli in “Tutto L’Universo Obbedisce All’Amore” pare però molto improvvisato, e facciamo che lo dimentichiamo in fretta.

Sono il diavolo della casa, io; di una stella annullata l’Azimut.

Poi entra lei, il vero motivo che mi ha spinto, dopo una giornata in ufficio passata ad ammalarmi per l’aria condizionata, in quel posto, in quel momento.

Prima che apra bocca, pensi che Alice è bella; anche a 56 anni, innegabilmente: se trent’anni fa era gnocca, ma gnocca forte, ora è una signora che porta alla grande i suoi anni che, inesorabili, aumentano.

Poi inizia a cantare con un ringiovanito Battiato, ed i treni per Tozeur passano lenti come allora, ancora una volta.

Segue “Il Contatto”, eseguita al pianoforte con il supporto dell’orchestra “Roma Sinfonietta”, diretta da Buonvino ed ottima costante di tutta la serata.

Pensi che con quella voce, anche se a distanza siderale (non male, per un anfiteatro in fondo così piccolo), potrebbe cantare per ore; e invece sullo sgabello troppo basso regala una perla ancora, una sola. Una perla, però, di incredibile valore; Corso di Francia potrà offrire spunti per canzonette imbarazzanti (Molte auto in Corso di Francia: c’è nel regno un ingorgo in più) ad impiegati che camminano sudando l’anima per l’afa, ma la “Prospettiva Nevskij” è commovente, per quanto sa emozionare. Magone imbarazzante.

È una sera di novembre; fuori piove, un cane abbaia. Brividi sulla pelle dicono che io ti amo.

Il trio Carmen Consoli - Marina Rei - Paola Turci è, per quanto mi riguarda, la grande sorpresa della serata: se la prima, decisamente più in palla ed a suo agio rispetto a prima, non (mi) doveva dimostrare niente (ma che bello vederla finalmente dal vivo, seppure per così pochi brani), l'esibizione delle altre due cantanti – prototipo dell’artista che, per coerenza con se stesso, si allontana dai grandi palcoscenici dei compromessi, ed in questo paragonabili alla grande signora Bissi – mi ha piacevolmente colpito.

Un paio di ottimi pezzi (“I Miei Complimenti” della Rei e “Fiori D’Arancio” della Consoli), suonati efficacemente dalle tre e ricamati a dovere dall’orchestra e da un bravo violinista (di cui peraltro non so il nome - ma aggiungo che si è fatto notare anche per la ragazza all’uscita); poi il brano che non ti aspetti: fantastico, senza mezzi termini. La Rei, essenziale e pulita alla batteria, batte furiosamente; la Turci percuote l’acustica nemmeno fosse una grattugia; la Consoli ci dà dentro col basso che è un piacere: ti aspetti di tutto e ti ritrovi nonno Franco che, compiaciuto, gironzola gioviale tra le tre nipotine che lo omaggiano. Cuccuruccucù, Paloma.

Si volge al termine, ed è ora di un secondo duetto tra i due mostri sacri; niente di nuovo, per fortuna: lei canta strabene, lui compone meravigliosamente e “La Cura” è un brano strepitoso. E ‘sti cazzi.

Durante gli applausi, sentiti e prolungati, vicino a me, un ricciolone dalla parlata strana invoca “Per Elisa” sbiascicando le parole, seguito da mezza platea; so che lei non la canta quasi mai, e non sbaglio nemmeno stavolta: ero preparato, e per la consolarmi me l’ero cantata – nemmeno male, devo dire – lungo Corso di Francia prima del concerto.

Ma intanto l’universo geme nelle doglie del parto: quelli che sanno le cose non parlano.

I due cantano invece una versione molto sinfonica della bella “Nomadi”, prima di salutare il pubblico; il quale esce molto lentamente dai due orifizi di sfioro di cui prima, allietati per lo meno da un ultimo, nostalgico colpo di coda del catanese, che nei pezzi storici si riprende alla grande.

Spero che ritorni presto l’Era del Cinghiale Bianco anche io.

Epilogo

Poco fruttifera l’attesa all’uscita artisti: con mio grande dispiacere, Alice non l’ho vista, la Consoli è svaporata in due minuti e Battiato si è concesso (comparendo da dietro, già in strada – anafase) solo per un paio di fotografie (un paio, oddio... una), prima di darci la buona notte e di salire in macchina (lui dietro, il naso davanti). Un monumento.

Solo la Rei (che ha anche un suo perché, diciamolo) è uscita subito, concedendomi di non tornare a casa col foglio bianco (e di aggiungere il suo a diversi autografi di inestimabile valore, tra i quali quelli di Ciriaco Sforza, di Gigi Sgarbozza e della simpaticissima Carla Norghauer). Alla fine, l'ora del ritorno a casa, comunque soddisfatto. Non prima della lunga passerella nel fresco della notte romana.

Detesto la gente che urla per niente, e mi piace bere come odio fumare; adoro guidare sola su un’autostrada, e rido pensando a fatti miei divertenti.

In Corso di Francia.

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