… E mentre foglie ormai ingiallite sono condannate a morte dall’Autunno, vengo risucchiato dall’indefinita sensazione di non essere sempre esistito e di non poter esistere per sempre.

Una lunga palpitazione sonora figlia del pantano e madre di fosche dissonanze che interrogano senza sosta.

Un’occulta forza centripeta innescata dal sinistro moto di droni densi e porosi che si intrecciano su modulazioni impastate di fango e nebbia.

Spire elettroniche di una serpe materica e flessuosa si distendono nell’oscurità e su alcune squame baluginano tenui riflessi bronzei come rade pagliuzze d’oro accese da un nitido plenilunio.

Il fruscio di spighe di grano smosse dal vento notturno, lo stridio di civette amletiche, il formicolio di invisibili insetti. Antichissimi linguaggi campionati officiano la rapsodia mentre vaghe percussioni e campane tibetane evocano la voce di oracoli dimenticati.

E la liturgia si compie in un grave crescendo finale dove i lenti e tentacolari riti di Vidna Obmana vengono sciolti nell’austerità gotica di Sam Rosenthal.

… E quando tutto è finito l’indefinita sensazione ha finalmente un nome, o meglio... Un suono.

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