Il Forte è un palco all’aperto in mezzo alle paludi mestrine, due vecchi edifici abbandonati nei quali sono sorti i più improbabili negozi dell’usato equosolidale e un bar-salotto in stile liberty decadente, con tanto di poltrone sfondate e qualche tavolo recuperato. Il tutto circondato da aquitrini e alberi. Non male.

Arrivo con i fiòi che è ancora presto, mi guardo attorno e mi accorgo che c’è tutta la Venezia che non si ciba di solo reggae, per cui non molte persone. (A Venezia anche i canali sono in levare… )
Il palco è dei più semplici: un tavolo, due piatti e un Mac da non so quante migliaia di euro… niente schermi, poche luci. Non serve nient’altro. Non ce ne accorgiamo qusai e il ragazzo sale sul palco, allunga i suoi lunghi tentacoli da piovra sui piatti e in un batter di ciglia ci troviamo avvolti da un suono fangoso e umido, senza sforzi ci trascina nella palude… è a questo punto però, dopo pochi minuti, che comincia a trascinarci davvero verso il basso, con ritmi che partono dal profondo e spirali discendenti che lasciano con quel senso di compressione e asfissia di chi sta scendendo negli abissi senza respiratore.

Pian piano l’atmosfera si fa più sintetica e il fondo del mare è come una gabbia di suoni e di sonar pulsanti, ogni tanto un cenno del capo, una sigaretta accessa e la piovra si fa complice di un gioco che sta riuscendo alla grande.
Pochi sprazzi di luce filtrano dalla superficie e poi subito vengono inghiottiti da quel continuo girare in basso creato ad arte con stile e semplicità. Qualche siringa di suoni acidi punge ogni tanto ma come le medicine buone fa subito effetto, viene assorbita dall’organismo e si mette in circolo con piacevoli effetti.
Quando poi dalle ventose dei suoi tentacoli lascia sbocciare fiori di puro sound ninja, colano dalle sue dita litri e litri di collosi battiti sincopati
, il tutto per lo scatenarsi del delirio tra il pubblico completamente a suo agio sul fondo del mare.

All’improvviso ci si trova proiettati verso l’alto, e per qualche istante si rimette la testa fuori dall’acqua ed ecco apparire una spiaggia brasiliana tutta ricoperta di cellophan, un accenno di samba dopato basta a rendere l’illusione. Ma è solo un miraggio e giusto il tempo per prendere una boccata si torna giù, a nuotare in un mare di drum’n’bass nuova generazione, condita con litri di puro stile.
Senza fiato si giunge verso la fine, increduli del viaggio in cui è stato capace di trascinarci con estrema facilità, senza mai forzare la mano, senza mai lasciarsi andare a banalità o a suoni scontati, anche quando fa viaggiare basi che ammiccano al rap.
Per il finale decide di mettere mano ad un pezzo metal e tra riff stile Pantera e doppi pedali trasformati in battute hard-core ci fa desiderare che la prossima volta gli capiti tra le mani un vecchio disco di Morricone (come un certo suo amico vuole fare.... ) oppure qualcosa di Bobby Solo. Sarebbe interessante.

Strepitoso.

Carico i commenti...  con calma