…and it was so yellow…Ma che c***o stai dicendo, Chris Martin? Sarebbe questa la migliore band britannica? Roba da tagliarsi i polsi”. Se anche tu hai pensato almeno una volta questo dei Coldplay, Amy Winehouse ti è per forza simpatica. Atteggiamento impertinente e lingua lunga, la ventenne di Camden ha conquistato i critici musicali col suo primo album, “Frank”: nominata ai Brit Awards, ha vinto il prestigioso premio Ivor Novello per la “miglior canzone contemporanea” (“Stronger Than Me”).

Il punto forte del disco è indubbiamente la voce, che Amy padroneggia con naturalezza, come un buon musicista sa fare col proprio strumento. Per quanto riguarda il “sound”, non si può sbagliare a definirlo “nu-soul”: hip-hop+r’n’b+urban beats+uso ricorrente di suoni presi a prestito dal jazz. L’originalità si trova in brani come “October Song” o la spassosa “Fuck Me Pumps” (leggi il testo!), mentre in altre occasioni la Winehouse ricorda altre cantanti: Erikah Badu, Alicia Keys, Lauryn Hill. Nonostante questo, nell’insieme dell’album la forte personalità vocale e umana di Amy viene fuori alla grande.

Un bel quadretto, ma…nel disco c’è una porta spazio-temporale, un buco nero: il brano “(There is) No Greater Love”. Messe da parte le ingombranti sonorità urbane, Amy si trasforma in “Lady Winehouse”, una vocalist jazz che non teme il confronto con i suoi modelli - Sarah Vaughan, Dinah Washington, Billie Holiday. La voce di Amy ti rapisce per centoventi lunghi secondi. La mente vaga, riflettendo su quanto sia grande il talento musicale della Winehouse e quanto sia limitante racchiuderlo in un disco di urban-pop. È un po’ come mettere una che si sta preparando per l’esame di licenza media in una classe di quinta elementare.

Carico i commenti... con calma