Il Rubicone è un fiumiciattolo che, se non fosse stato per i passati storici nefasti che procurò, sarebbe rimasto confinato in quel pezzo della bassa Padana che lo accoglie, e invece qui, un condottiero romano di nome Caio Giulio Cesare, basso, pelato e senza rivali in quanto ad maliziosità, decise di cambiare la Storia attraversandolo con le sue armate, ponendosi così in guerra con la Roma Repubblicana dei Senatori come Cicerone e degli altri generali a lui ostili come Pompeo, essendo, questo torrente, niente di meno che il confine tra l'allora Gallia Cisalpina e i territori dell'Urbe, che ancora non era un "Impero", e che proibiva ai propri Condottieri di entrarvi con al seguito i propri eserciti.

"Alea Jacta Est" borbottò Cesare passando le acque basse. "Il dado è tratto". E lo è, lo si può dire, anche per gli Ancient Rites, band belga raffinata e dall'intelligenza spiccata ed erudita che, con questo "Rubicon" propongono all'ascoltatore un mix di storie epiche e sentite, ma, bene inteso, non di fantasia né intrise della filosofia "Black", seppure a loro congeniale, essendone stati tra gli anfitrioni in tempi non sospetti, ma piuttosto tratteggiando caratteri e profili di epoche dimenticate e rievocate, qui, da rimembranze che si perdono nella polvere del tempo, considerate da molti come non valevoli di attenzioni.
In tal senso, gli Ancient Rites hanno realizzato una scelta coraggiosa, in tutti gli ambiti ed i solchi di questo lavoro. Non si sono accontentati di raccontare di battaglie sanguinose e di comandanti atroci ed efferati; hanno ribaltato il concetto di "epico" servendoci un piatto condito di "valori" ineluttabili e maestosi, che vanno dall'onore in guerra, alla caratura e al peso morale dei personaggi storici citati, al coraggio senza confini dei soldati e alla spregiudicatezza di certi squarci temporali. E la musica poi... Niente a che vedere con il Black Metal degli esordi che fecero loro guadagnare un folto stuolo di ammiratori, seppur in sotterraneo, ma piuttosto un micidiale cocktail di tempi spinti, doppie casse, batterie furibonde, chitarre dal taglio spiccatamente Heavy, voce che passa con disinvoltura dal sibilo malvagio e blasfemo del Death/Black al "clear" evocativo e liricheggiante comune a tante band "Power" ed "Epic".

Il risultato, se già sentite nell'aria puzza di "obbrobrio" e di "né carne né pesce" è invece, lasciatemelo dire, davvero eccezionale.

"Rubicon" è un album che non lascia un attimo solo, nemmeno lontanamente, annoiati. Si lascia ascoltare ed esplorare seppure in sé non è un concept, e dunque ad ogni traccia si passa da un'atmosfera all'altra: "Crusade" con le percussioni orientaleggianti e suadenti, ricordi di astri al crepuscolo fatti d'opale e impreziositi dalla lontananza delle distese sconfinate; "Templar" che, invece inizia strepitosamente e con piglio tecnico e velocissimo, per dimostrarsi cangiante e ancestrale, rimandando alle gesta delle Crociate in Terra Santa, a certe marcette medievali, fino a sconfinare nel Black Sinfonico della miglior fattura; e poi ancora "Mithras" che sembra un omaggio al miglior Heavy Metal epico, seppur sostenuto da tempi e da basi stringentemente Thrash, la splendida "Thermopylae" che inizia con uno struggente giro di pianoforte, si infarcisce di tastiere e poi riverbera nella marcia delle armate Greche e Persiane, suscitando pena e sensazione per il sacrificio di Leonida e degli Spartani che lì si immolarono per dar modo ai loro compatrioti di approntare le difese adeguate all'imminente sbaraglio da parte dei nemici.

Di episodi come questo "Rubicon" ne è pieno, e non meravigliatevi del fatto che l'opera, così come è compiuta, pur nella sua eterogeneità, risulta essere sempre un "passo avanti" nel percorso nei meandri storici che trasborda nei lembi magistrali che emana, sapendo affascinare, stupefare, intristire, inorgoglire, e alla fine, dopo le decine di ascolti che vi costerà, se saprete bene "sentirlo" ed apprezzarlo, intrappolare, per significare, dopo tutto, che dagli eventi passati, si può e si deve imparare, altrimenti, il futuro ed il presente non rappresentano niente se non un susseguirsi di poche e miserabili cose.

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