Da sempre la Scozia, con il suo fascino nebbioso e frastagliato, è genitrice di pregevoli talenti artistici. Molto spesso si tratta di personalità misteriose, che non amano esporsi troppo sotto i riflettori, ma che a poco a poco sanno rivelarsi e lasciare un segno indelebile nel cuore di molti. Gli And Also The Trees sono certo tra questi. Dopo un esordio tipicamente new wave, vicino per stile ai Joy Division di "Closer" ed ai Cure di "Pornography", il quartetto guidato dai fratelli Jones ha via via liberato sonorità più ariose, meno legate ai canoni di un movimento, per essere da lì in poi solo e unicamente "And Also The Trees". Devoti alla loro terra e cantori delle sue leggende e tradizioni, gli AATT sono soprattutto poeti della natura, in grado di dipingere con le note paesaggi e scenari senza tempo, mantenendo un orientamento intimista che li tiene al di sopra di ogni forma di banale folklore.
Questo "Farewell To The Shade", che come recita il titolo è un addio a certe ombre del passato, ci consegna una nitida testimonianza del personalissimo stile del gruppo. Come già nei i due lavori precedenti, la strumentazione è quella classica voce-chitarra-basso-batteria (con l'aggiunta di alcune tastiere), ma l'approccio sonoro in buona parte esula dalla tradizione rock. Particolare, ad esempio, è l'uso delle chitarre, trattate con echi e riverberi che le trasformano ora in antiche arpe, ora in mandolini, mentre la voce spesso si avventura nei fascinosi territori del recitato, conferendo al tutto un andamento drammatico e coinvolgente. Sotto di loro, l'ottimo lavoro della sezione ritmica, ultimo anello di congiunzione con la new wave, garantisce il risultato finale.
Se c'è una parola chiave che può portare in un attimo allo spirito di "Farewell To The Shades", forse è quella di "Medioevo". In realtà, lo scenario medievale, più che un filo conduttore tematico, è una sensazione subliminale che si coglie per tutto l'arco del disco, suggerita dai suoni concitati di "Prince Rupert" e "Macbeth's Head", o invocata dalla danza quadrata di "Belief In The Rose". Anche l'intensa interpretazione di "Lady d'Arbanville" di Cat Stevens, carica di spunti cameristici, ci richiama lontane suggestioni del passato. Ma il gruppo non si limita a sperimentare questi incanti: "The Street Organ" è un brano teso dalle tinte fosche, adatto alla colonna sonora di un noir teatrale; il singolo "Misfortunes" modella invece la tradizione su di uno schema pop piuttosto orecchiabile. "The Pear Tree" , con le sue foglie scosse dal vento, dipinge un paesaggio contemplativo, mentre gli elementi della natura si fanno tempesta nella successiva "Ill Omen". Si arriva così alla conclusiva "The Horse Fair", una passeggiata intrisa di poesia lungo le verdi colline della Scozia, con gli strumenti che si limitano a semplici rintocchi. Siamo nel Medioevo, nell'800, o ai giorni nostri? Ognuno può vivere queste splendide atmosfere come meglio crede; l'unica certezza è che siamo immersi nell'universo unico ed inimitabile degli And Also The Trees, che prendono commiato con questi versi:
"A steel slow note,
Slow changing low string,
To where, to where,
To the horse fair,
The ribbons in her hair.
But I am the black arrow
That flies through the night"
Elenco tracce testi e video
12 Anchor Yard (04:03)
She stands beneath the arch in anchor yard
And pulls her shawl around her back.
Her bandaged hands remember-
Hooks of iron hanging from the walls,
Fish guts in the blue-bricks
And the rain with the autumn falls
Around her shoulders like the night...
The strange songs they sang will always
Go round the moss walls
Where the hot sun crawls.
So come back mackerel days
Sing with me to the waves...
We were the knives and we were the hands,
Now we are the salt and we are the sand.
We are the song of anchor yard.
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