Andrea Chimenti, classe 1959, dopo una prima esperienza nei Moda ("senza l'accento", si ritrova spesso costretto a precisare), cerca la sua strada con il suo nome, ma non da solo, si avvale infatti di eccellenti collaboratori, in particolare il duo Magnelli-Maroccolo, entrambi ex Litfiba, ex CCCP e parte integrante dei CSI, in quei primi anni '90, in cui si colloca l'inizio della carriera solista del Nostro.

L'esordio è intitolato "La maschera del corvo nero", che definirei interessante ma ancora acerbo però ne ho un ricordo vago, visto che lo avevo in cassetta e non lo ascolto da circa 20 anni. Dopo altri 4 anni, tra collaborazioni e gestazione di uno stile ancora più personale, Andrea Chimenti porta alle stampe un lavoro ormai maturo. L'albero pazzo esprime questa nuova forma di cantautorato più acustico, ma lontano dalle venature folk (tipiche di un De Gregori) o rockeggianti (à la Edoardo Bennato). Siamo lontani anche da uno sguardo socialmente impegnato e schierato proprie di personaggi in auge come De André e Guccini. Questo album rivela venature decisamente più intimistiche, anche se la title track accenna, in modo molto poetico e simbolico, alla censura sociale della creatività, in nome dei valori di "ordine e disciplina". Un testo evocativo, sottolineato da una melodia ben costruita e ben arrangiata con chitarra acustica, archi a sottolineare la drammaticità della scena, ed una coda nuovamente di chitarra acustica che comunica al di là delle parole. Tutto l'album è un lavoro ben cesellato, dove non si cerca di colpire l'ascoltatore sommergendolo di suoni, ma lo si attira per l'essenzialità degli stessi. Emblematica in questo senso è Carta di riso: dopo una breve, sussurrata e dissonante introduzione, un paio di battute di batteria che suona più vera del solito e poi chitarra e violoncello che urla qualche frase. Pochi suoni, ma tutti al posto giusto. Inizia similmente, ma poi spiazza nella seconda parte la traccia conclusiva, Si dirada la nebbia: prima voce e chitarra, poi solo percussioni, infine si cresce di intensità con suoni più sintetici e percussioni sincopate con lo sfondo di voci al telefono (che mi fanno pensare agli intermezzi fra i brani di The Wall), e dopo qualche secondo di silenzio ancora un motivo lieve in dissolvenza, stavolta con assonanze con il finale di album di Storia di un minuto della PFM.

E ancora, come non ricordare l'intervento di David Sylvian, alla voce in Ti ho aspettato, a sottolineare quanto una voce calda e su tonalità basse sia più adatta a questi brani, contrariamente a come canta lo stesso Chimenti nelle strofe di Ora o mai, o nel ritornello di Lasciatemi stare. Capace e denso anche quando spinge sulla voce fra note un po' più alte, ma è sicuramente meglio quando il suo canto si fa lieve e suadente. Tra le altre tracce sottolineo la bella Maestro Strabilio, leggera ma non banale nella melodia, però malinconica nel testo, abile nel raccontare in modo sottile del suicidio di un artista incapace di adattarsi alla normalità del mondo; la struggente Una muta canzone, delicato movimento al pianoforte; Senza un'alba, che in alcuni passaggi alla chitarra mi ricorda Alan's psychedelic breakfast dei Pink Floyd, da Atom heart mother (sarà una coincidenza, visto che entrambi i brani descrivono momenti mattutini?).
In sostanza un album ben composto, ben arrangiato, molto ben suonato e cantato, infine ben prodotto, visto che mi sembra davvero che i suoni che ho descritto sono così limpidi che li "vedo" quasi, mi sembra di partecipare ad un live in casa mia.
No, non può mancare questa de-recensione, e sono contento di esordire tra i recensori di Debaser con questo bel disco.

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