Il fatto di essere schiacciato tra Stalker, uno dei pilastri della storia del cinema, e Offret, vero e proprio testamento di Tarkovskij, forse ha reso la pellicola in questione un capitolo minore, la tipica opera imperfetta che passerebbe inosservata ai più. Il che è vero solo in parte, poiché proprio l'imperfezione, o per meglio dire l'incompletezza, costituisce l'oggetto di riflessione e una delle virtù di Nostalghia (1983): l'artista, esiliato dalla sua terra a seguito del clamore di Stalker, si ritrova a dover affrontare l'inevitabile sentimento di nostalgia che attanaglia tutti coloro che sono stati costretti a rinunciare alle proprie origini. Kundera, nel suo romanzo L'ignoranza, ne precisa l'etimologia: νόστος (nostos, ritorno a casa) e άλγος (algos, dolore); la nostalgia non è altro che la sofferenza della lontananza, anzi, dell'ignoranza che scava le distanze da ciò che è lontano da noi, distanze che ci rendono in qualche misura incompleti. Ma non è solo lo spazio a dividere. Nostalghia è una riflessione sottilmente sardonica sull'impossibilità di colmare le suddette distanze tramite il mero linguaggio; e questo già a partire dal titolo, una parola sì avente radici greche ma comunque sempre pronunciata dall'autore come se fosse russa. La comunicazione stessa è per definizione uno strumento ambiguo, certo in grado di unire, ma troppo spesso causa di incomprensioni e muri invalicabili: cum-munus da una parte, cum-moenia dall'altra.

Nell'esile vicenda ritratta dalla consueta regia ponderosa di Tarkovskij, Andrej Gorchakov, alter ego dell'autore, è un poeta russo che viaggia per l'Italia per seguire le orme del compositore Sosnovskij. Gorkachov è in compagnia di Eugenia, traduttrice, ed è qui che si esplica la prima dualità (non superata) del film: il poeta considera con scetticismo il lavoro della compagna, perché tradurre significa sempre perdere irrimediabilmente qualcosa per strada; e quindi sogna un mondo in cui non sussistano i confini, l'utopia di una nuova Babele, una singolarità all'apparenza inconcepibile. L'altra dualità è quella che vede sempre Gorkachov "completato" da Domenico, il matto del paese che gli affida il compito importantissimo di attraversare la vasca di Bagno Vignoni con una candela in mano. In ogni caso è il poeta la figura centrale, in cerca di una restaurazione mistica e semantica con l'altro; l'uomo sognatore, alienato, sdoppiato e infine (forse) riconciliato.

Ad accrescere il senso di malinconia si aggiungono gli ambienti, composti perlopiù da rovine e case diroccate: luoghi dove il cuore non può attecchire, spazi dai confini fragili e permeabili, minati da un'incompletezza fisiologica e necessaria alla poetica dell'artista. E a proposito di poetica, non potevano mancare le recitazioni di poesie del padre di Tarkovskij, di cui va menzionata la commovente Morire in levità, ritratto sfuggente della morte (della poesia stessa?). Tutti elementi già visti, certo, e del resto si potrebbe anche accusare un manierismo di fondo sul piano registico; ma non si parlava appunto di celebrare l'imperfezione?

Tarkovskij, come nel suo capolavoro Lo specchio, antepone la 'logica soggettiva' alla 'logica del soggetto': ecco perché i suoi film sono accostabili a dei quadri in movimento o alla poesia, piuttosto che a narrazioni tout court. E se ne Lo specchio l'autobiografia e la storia della patria si compenetravano in un flusso travolgente, quasi indiscernibile, Nostalghia assume quel tono lieve e impalpabile che lo rende a mio parere il film più intimo dell'autore; un film in cui, ancora una volta, la dimensione del sogno prende garbatamente il sopravvento e asserve l'arte. In questo senso non esiste una vera e propria risoluzione al termine dell'opera: Domenico si dà fuoco in preda al delirio, mentre Gorkachov, in un lungo pianosequenza, adempie alla promessa fatta al suo nuovo amico percorrendo la vasca vuota del Bagno Vignoni tenendo in mano la candela, l'ultimo lume dell'arte, l'ultima speranza di fronte alla condanna dell'incomprensione e dell'oblio. Al suo "Sacrificio" seguirà poi quello di Tarkovskij stesso, qualche anno più tardi; ma una riconciliazione possiamo già rinvenirla qui, nella meravigliosa inquadratura conclusiva, dove sogno e realtà sembrano collimare ed esalare, infine, un silenzioso respiro di salvezza.

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