"Tarots and the North" (dodici scritti abbinati ciascuno ad un Arcano Maggiore di Luis Royo)
"II. The Chariot"
Una carriera sul filo del rasoio. Un quartetto di temerari equilibristi riuscito a percorrere lungamente e senza indugi una via stretta e impervia, resistendo a facili compromessi ed influenze tentatrici. Sarebbe certo delizioso comporre un'ode del genere e lanciarsi in solenni epinici, cantando la gloria dei divini Anekdoten, quasi a volersi ingraziare i favori di un tiranno, confezionando accuratamente e decorando con lusinghe una verità che ci racconta invece un'altra storia. Nella sua olimpica a Ierone di Siracusa, Pindaro scrisse che "molti sono i prodigi e spesso la leggenda dei mortali va oltre il vero" e noi perciò, riferendoci alla band svedese, non possiamo che prendere atto di un declino lento ma innegabile, cominciato già all'indomani del progetto "Morte Macabre", in cui Nicklas Berg, reinterpretando vetusti temi horror, ha dato libero sfogo ad incubi e ossessioni che non è poi stato più capace di controllare e reinserire adeguatamente nel contesto efficacissimo e tuttavia perfezionabile di "Vemod".
Se infatti dovessi scegliere un punto di forza davvero caratteristico e determinante della formula adottata dai quattro musicisti, indicherei senza dubbio quell'equilibrio straordinario tra frustrazione soffocata e foga selvaggia che raggiunge in "Nucleus" livelli a dir poco miracolosi ed è per tale ragione che vorrei dilungarmi su questo album irripetibile, osservato dalle scarne ma ancora suggestive voragini dark ambient di "From Within" e soltanto sognato da prodotti dignitosi e relativamente interessanti come "Gravity" e "A Time of Day", i quali rimangono ciononostante ben sopra la media nella scena progressive più opprimente ed aggressiva, inquinata da scontate intromissioni metal noiose quanto artefatte.
La prima volta che ho intravisto "Harvest" tra i titoli del presente disco, uscito nel 1995, mi sono subito immaginato un'ipotetica continuazione "agricola" del "Tempo della Semina" dei Biglietto per l'Inferno, ripensando in particolare alle inquietudini ossessive di Claudio Canali e paragonandole ai lamenti rassegnati di Nicklas, più criptici ed eccessivamente metafisici per poter accogliere i messaggi di denuncia sociale di testi quali "Vivi Lotta Pensa" o "L'Arte Sublime di un Giusto Regnare". L'ermetismo asfissiante dei versi sembra trovare liberazione solo nel furore primordiale della chitarra che, alla stregua di una quadriga trainata dai destrieri di un sadico condottiero, travolge e devasta ogni cosa al suo imperioso passaggio ("Harvest"), annunciato dai tumulti del basso di Jan Erik Liljeström, pesante e granitico quanto un immenso golem di pietra ("Nucleus", "Rubankh").
I silenzi, brevi ed incerti, quando non infestati da presenze astratte ed agghiaccianti ("Raft"), sono rotti dalla cadenza regolare di note troppo simili a gocce di sangue per non andare ad ingrossare un fiume ormai deciso ad inghiottire nel suo formidabile flusso, tramite colleriche ondate di mellotron, la disperata batteria di Peter Nordins, costretta a virate aspre ed impulsive ("Book of Hours"), ripercorrendo odissee scarlatte avvenute in acque inglesi oltre due decadi fa ("This Far from the Sky"). Lungo la riva il violoncello di Anna Sofi Dahlberg si trascina in una lenta e straziante marcia dettata da un'incontrollabile raptus suicida ("Here"), mitigato infine grazie alla flebile speranza trasmessa dal violino dolce-amaro di Helena Killander ("In Freedom"), che non riesce comunque ad impedire i deliri impalpabili di un requiem universale, preludio agli alienanti deserti del terzo ed ultimo lavoro degli Anekdoten più viscerali ed espressivi ("Luna Surface").
Dopo la tempesta rimane lo stupore, l'incredulità di essere sopravvissuti nell'occhio di un mastodontico ciclone, vero e proprio "nucleo" di correnti che non riusciranno più a convivere in una spirale così azzardata e violenta, tramontando esattamente come il Tifone della leggenda, sigillato da Zeus nei recessi del sottosuolo italico, non prima però di aver lasciato un segno indelebile della propria esistenza nella storia di un mondo che, allo stesso modo, non sarà in grado di dimenticare le gesta degli eroi di musicali mitologie progressive, ancora ben lungi dall'essere integralmente scritte o comprese fino in fondo.
Carico i commenti... con calma