Credo che per molti, sicuramente non per tutti, ma nemmeno per pochi, la musica oltre ad accompagnare la nostra vita, accompagni determinati momenti della vita stessa. Associare la canzone al momento preciso come colonna sonora del nostro percorso è piuttosto frequente, così come associare un determinato artista o determinati artisti, appartenenti pressoché ad un simil genere musicale, faccia parte di una necessità del nostro stato emotivo per vicinanza di tematiche musicali e mood.

Questa è sempre stata la mia convinzione, così per sfizio, in un recente periodo complesso della mia esistenza, mi sono detto “armiamoci di lungimiranza e proviamo ad invertire la corrente, rompiamo lo schema”.

Digito, dunque, “dance” su plurime fonti musicali, un genere da me generalmente poco apprezzato, pel vero, e tra tante proposte, ascoltate dai 30” a qualche brano, arrivo ad ascoltare in toto un album del 2017, mai sentito (né l’album, né l’artista), ma non totalmente dance. Diciamo più dancetronic.

Da uno stato di anaffettività e apatia nei confronti di quasi tutto, mi si risveglia pian piano una carica adrenalinica che non stimavo di poter ritrovare in poco tempo, così mi metto alla ricerca di tutto ciò che riguardasse quest’individuo.

L’individuo in questione è Nicolas Dupuis, nome battesimale dell’artista canadese “Anomalie” (Anomalia, per chi non avesse abbastanza fantasia di traduzione), tra l’altro omonimo dell’allenatore della squadra di calcio del Madagascar. E’ nato a Montreal, città altresì nota per il circuito automobilistico e le olimpiadi invernali del 1976, ha studiato per più di 15 anni classica e jazz e si è tramutato in un pianista e producer a tutto tondo.

Talvolta one-man band, talvolta accompagnato da musicisti in tour, il canadese risulta uno degli artisti emergenti griffati Spectrasonics e ROLI in Quebec e dintorni e con “Métropole” è al quarto lavoro solista (Anomalie 2013, Odyssée e Sleigh Ride, 2016). Il quinto, “Métropole – Part II” è uscito nel 2018.

Dancetronic sì, ma anche jazz, funk, classica e parecchio hip-hop.

C’è ingegnosa complessità nel lavoro che sta dietro e durante le performances live di Anomalie che si aiuta con pre-incisioni musicali, nelle esibizioni da solista. Drum Pad, Bass String, launchpad, seconda e terza tastiera, campionamenti, citazioni musicali da Stevie Wonder a Bach, una texture davvero ricca abbinata ad ogni brano.

L’ascolto di questo album, virtuoso, dal sound spacy e rinfrescante, ha fatto riemergere la curiosità sopita, l’istinto incatenato verso la ricerca e la conoscenza (non solo musicale), permettendomi di uscire dalla condizione in cui mi stavo lentamente letargizzando.

Mistificando il tutto, é’ stato come cadere nel burrone pieno di coccodrilli di “Indiana Jones ed il tempio maledetto” ed essere salvati da Mazinga Z. Trash, ma efficace.

Io non ho una risposta certa sul “come mai”, ma sicuramente la musica è un’arma potente, spesso sottovaluta, è una terapia, spesso poco esplorata, è una componente della nostra vita, talvolta obliata.

Difficile dire quale traccia prevalga sull’altra, il mio consiglio è un ascolto completo, dato che dovrebbe risultare immediatamente gradevole (o sgradevole per chi non concepisce tale stile) e piuttosto spedito per 22’ complessivi. A mio personale gusto “Le Bleury”, “Velours” e “Métropole”, posso definirle le tracce più riconoscibili e dunque caratteristiche dell’EP, ma è davvero un’esperienza piacevole, un pasto completo a finger food, bocconi da mandare giù in un colpo solo, che continuamente alimentano le papille gustative, senza stancarle mai.

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