In un luogo imprecisato dell’occidente

- Con queste pubblicità progresso potremmo denunciare come gli stereotipi di genere ed etnici portino alla violazione dei diritti umani e di auto-affermazione dell'individuo. Sveleremo quali stereotipi si siano ripetuti nel tempo nella rappresentazione degli individui, bianchi, neg... - riflette - neri, mulatti - riflette - meticci - riflette, qualcuno interrompe -

- Io non so se la strada giusta sia quella di censurare le parole.

- Ma lo facciamo da sempre!

- Perché abbiamo eliminato la parola negro?

- Perché è offensiva!

- La usava Martin Luther King…

- Son passati cinquant’anni!

E probabilmente abbiamo capovolto il suo messaggio...

Il reverendo non ne sarebbe contento.

Certa letteratura ha il potere di riportarci alla natura, al reale, al vero, e in essa si palesa la capacità dei veri linguisti di osservare il mondo e raccontarlo senza altri filtri che non siano quelli imposti dal patto col lettore. Essa della censura se ne fa un baffo.

Eccone un caso.

Un anonimo, dietro cui si nascondeva senz'altro un uomo di cultura (il libro è zeppo di citazioni dotte), scrisse nel Siglo de oro, proprio agli albori (o un pò prima) dell'oscura età controriformistica, un racconto fintamente autobiografico che racconta un'altra Spagna, quella di Lazarillo de Tormes.

Lazarillo nacque sul fiume Tormes nel quale si trovava il mulino ove operava il padre, mugnaio, e nei pressi del quale si trovava la madre al momento delle doglie. Il piccolo Lazarillo ben presto si trovò a vivere con la sola madre, in quanto il padre venne imprigionato per piccoli furtarelli e morì in una guerra santa, e il patrigno (un negro che presto diede a Lazarillo un fratellastro, che però ben presto si trovò a temere il padre, poiché il piccolo vedeva Lazaro e la madre bianchi, e lui no) non fece una fine migliore. Com'è è come non é, Lazaro, ormai diventato un ometto, viene lasciato al suo primo padrone, un cieco. Questi lo desterà a suon di beffe e truffe, legnate e digiuni, dall’ingenuità in cui era vissuto per dieci anni. Astuto, sagace, taccagno, meschino, sciagurato, furbo, maledetto, imbroglione e altri ancora sono solo alcuni degli aggettivi riferiti al cieco. Per questo motivo egli non diede né oro né argento al ragazzino, ma tanti consigli per imparare a vivere, consigli che poi, per la legge del contrappasso, si ripercossero contro di lui. Lazaro così si ritrovò poi servo di un prete che in quanto a taccagneria superava il cieco. Poi di uno scudiero, vittima della sua stesso cultura dell’onore di censo, povero in canna e perseguito dai creditori. E poi ancora di un venditore di bolle, di un sagrestano e di un alguacil, in un percorso che lo farà diventare finalmente un impiegato del re, amico di gente potente, sposo, nonostante tutto, della domestica del prete…

...la società osservata dal primario inusuale punto di vista mostra tutte le sue incongruenze che risaltano grazie a una satira salace e cinica e ad un umorismo sboccato, fatto di continui botta e risposta, beffe, truffe, immoralità, che trovano giustificazione nel raggiungimento di una migliore posizione sociale all’interno di una società in cui la lotta per la sopravvivenza è spietata. Invece, in questa nuova posizione, le regole cambiano, gli occhi si chiudono per non osservare la realtà e le parole di Lazaro si fanno ambiguamente dolci: ha a che fare con “persone dabbene”, ora, Lazaro, e delle persone dabbene si deve parlare con ambigua gentilezza: e anche se la moglie va con troppa frequenza nella casa dell’arciprete, l’uno rimane “Vostrassignoria” e l’altra comunque una buona figliuola…

Così, come Lazaro, si comporta la nostra società, che decide ogni giorno di perdere le parole e con esse il contatto con la realtà.

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