Un libro come questo sembra scoppiare di vita e subito dopo sprofondare in un abisso di morte. Le pagine grondano sofferenza e depravazione, un dolore e un senso di mancanza che non abbandonano mai il fluire viscoso del racconto. Sapevo più o meno tutto sulla vita di questo personaggio a dir poco controverso, ma leggere quelle storie attraverso le sue parole è diverso. Fa impressione la lucidità chirurgica con cui Anthony espone le sue cicatrici, quasi vivisezionando se stesso e le persone che ha intercettato in quarant'anni di vita senza regole.
Colpisce non solo e non tanto per le sue personali follie, per il marciume e l'immoralità di tante esperienze, ma soprattutto per lo sguardo che getta sulla realtà in cui era inserito. Un ragazzo che fin dall'infanzia ha conosciuto il mondo in modo schietto, senza infingimenti, con un padre che non gli ha mai nascosto nulla, che faceva lo spacciatore e teneva festini a base di sesso e droga in casa mentre il figlio frequentava le scuole medie. La traiettoria di Kiedis intercetta fin dalla tenera età la perversione della Los Angeles anni Settanta e se ne lascia ammaliare. Da vittima, figlio sacrificato sull'altare dei vizi e dei fallimenti artistici del padre, diventa progressivamente carnefice, motore inesausto della sua autodistruzione.
Parlare genericamente di tossicodipendenza non rende mai davvero l'idea. Serve un racconto dettagliato. La quantità di ruberie, di inganni, di furtarelli, di prevaricazioni e menzogne che quest'uomo ha perpetrato prima di compiere vent'anni è impressionante anche per chi ha dimestichezza con le biografie di artisti rock. Un Bukowski più depravato e violento, un essere antisociale che ha travolto nella sua detonazione decine di persone, spaccato il cuore di ragazze (sempre abbastanza inclini ad abbracciare quel moto perverso), toccato i punti più bassi che un essere umano nato e cresciuto negli Stati Uniti d'America possa toccare.
C'è una pulsione nefasta che non si spiega facilmente. Servirebbe un trattato di psicologia. Ciò che ci troviamo davanti, dopo alcune pagine, è un bambino scisso, bistrattato, escluso e aggressivo, su cui grava ben presto il peso del pregiudizio. Pochi mezzi, pochi soldi, ma degli appetiti abnormi, titillati dalla visione tangenziale di quel mondo scintillante in cui suo padre aveva un ruolo non marginale: quello di spacciatore delle star.
È sottile la linea di demarcazione che separa le prime scelte votate alla trasgressione e il comportamento meccanico del tossico senza soldi che cerca continuamente lo sballo, ma non ha quasi mai le risorse economiche per garantirselo. In verità, le prime non erano vere scelte, ma solo piatta emulazione del mondo adulto che lo circondava. Per lui quella società malata era l'unica possibile perché altrove si sentiva fuori posto, rifiutato. La scelta più naturale era quella di perdersi nelle nebbie delle sostanze, perché la realtà normale dei borghesi era troppo difficile e respingente per un outsider come lui. Colpisce la lucidità (sempre molto severa con se stesso) con cui racconta la sua iniziazione ai vizi più smodati, l'accurata precisione con cui parla delle droghe assunte e dei modi ben poco ortodossi con cui si procacciava il denaro necessario.
Un libro mostruosamente sincero in tutto ciò che esamina, e non si tratta solo di droga. Kiedis sviluppa forme di tossicodipendenza per tutto. Si nutre delle persone, ne sniffa quasi l'anima, si procura lo sballo con il sesso, con la smania di avere, che siano donne, giubbotti alla moda, o semplici capricci che proprio non può fare a meno di soddisfare. Questa voracità si abbina a un ego che non è mai autoindulgente, e quel che ne risulta è una forma di autopsia del suo stesso corpo, in un delirio infernale che forse nemmeno di lui si rendeva pienamente conto di vivere. Ma la saggezza del poi è implacabile e la stessa forza con cui ricercava lo stordimento, Kiedis la mette nello scavare dentro di sé e nel dipinge un personaggio che fa una certa impressione.
Da una parte i fumi che lo allontanavano dalla piena autocoscienza, lo prelevavano da un hic et nunc che era troppo noioso per un fricchettone senza soldi che aveva leccato con la punta della lingua il mondo sfavillante dello sballo. Un rifiuto di sé che si esprimeva con violenza in quel processo di autodistruzione. Dall'altra parte un bisogno di amore altrettanto smodato. Anthony si innamora ogni giorno, e sembra sincero. Trascina le sue donne nel suo abisso, vive i loro amplessi come forme di esorcismo dal suo demone interiore. Ne sugge il buono e poi le lascia appassire, ma non con malizia; semplicemente si innamora di nuovo, di un'altra. E non sembra spinto da qualche bieca forma di opportunismo. Quei sentimenti sono veri e costituiscono una forma di cura, mai davvero sufficiente, a quelle voragini che si erano aperte nel suo cuore di ragazzo rifiutato, mai davvero cullato dal genitore. Escluso, ripudiato, irriso. La sua sete è inestinguibile e si abbevera alla fonte del piacere carnale, ma non solo. Con ogni ragazza sembra cercare veramente una pace, una vita, un amore.
In tutto questo c'è una band che viene avanti e la cui storia è tutt'altro che semplice e lineare. Kiedis appare molto lucido nel postulare le sue idee estetiche, la sua sensibilità per le mode (come marchi esistenziali) e la sua passione vera per la musica, l'ammirazione per i grandi del rock (fino a Beefheart), l'attenzione per le novità (non gli sfuggiva nulla della scena losangelina). Insieme a ciò, emerge una piena coscienza dei suoi limiti, il senso di inadeguatezza e il conseguente sforzo di creare-essere, le difficoltà con il canto; eppure vive fortissima in lui una voglia di misurarsi con il pubblico attraverso concerti in cui cerca sempre di dare il massimo, nonostante tutto. Come se dovesse qualcosa a quella gente che, inspiegabilmente (a suo modo di vedere), era andata ad ascoltarli pagando un biglietto.
Ci sono tante dinamiche che non si possono riassumere in una recensione, l'aneddotica è fitta e impietosa. Kiedis ha avuto modo di dirsi in parte pentito per il libro, per il dolore che ha procurato. Non risulta difficile credergli, perché nelle pagine parla senza peli sulla lingua e non si tira indietro nel dispensare giudizi e nel raccontare dettagli pruriginosi. In questo senso, quasi vent'anni dopo la sua pubblicazione, il volume appare quasi incredibile, sicuramente clamoroso, in un'epoca ipocrita e falsa come quella attuale. Un testo così oggi desterebbe decine di scandali, e in parte qualcosa è rimasto. Una volta si fece una ragazza di 14 anni, pur sapendone l'età, e questa cosa è stata citata recentemente in un pezzo acido del Guardian sull'ultimo disco.
Si tratta di un'opera succosa da una parte, da divorare in pochi giorni, proprio per la sua densità narrativa e la quantità di episodi incredibili che vengono asciuttamente esposti. Ma la curiosità un po' maniacale di ciascuno di noi nel leggere fin dove può spingersi la follia di un uomo deve infine cedere il posto alla funzione educativa. Penso sia utile comprendere fino in fondo quanto si possa cadere in basso, quanto sia profonda la spirale discendente, proprio per non iniziare a percorrerla.
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