Picchiare sui tasti, non si fosse capito, mi piace e mi da pace.
Principalmente lo faccio qui, ma non siete i miei unici interlocutori: sono monogamo solo per gli affetti.
A volte mi piglia di scrivere a gente che non conosco ma apprezzo, raccontargli cosa mi piace del loro lavoro, e ringraziarli per l'impegno coerente con il quale manifestano la propria arte.
Altre gli dico "ciao sono un tuo fan" e poi attacco a parlare dei cazzi miei, come credo di fare un po' ovunque.
La prima volta è stata difficile, il dover ammettere di essere una ragazzina tredicenne tutta presa bene non è stato facile, poi, dopo le prime corrispondenze, ho capito che il rapporto umano può passare veramente attraverso l'etere e diffondersi da una tastiera allo schermo di un pc.

Ieri ho visto questo documentario, girato a Milano nel '76 in un rigoroso bianco e nero.
Filomena e Antonio.
Ventidue anni lei, non ricordo quanti lui. Ma siamo lì, bene o male l'età è quella.
Appena aprono la bocca mi rendo conto che non sono io l'immaturo, è la nostra generazione ad esser composta da bimbiminkia. Tutti: io per primo, certo, ma anche tu. Sì, tu. Non offenderti: una volta tanto non non è una tua responsabilità (puoi comunque pensare benissimo di non esserlo, fatti tuoi)

Antonio fa l'operaio, lavora al tornio (o come direbbe qualcuno impropriamente "sotto al tornio"). Un giorno si fa male, un braccio gli resta incastrato nella macchina. Nulla di eccessivamente grave, non riporta danni fisici permanenti, sta a casa quel che deve e torna al lavoro. I danni psicologici però si fan sentire e scopre di aver paura della macchina. Non riesce più a lavorare e si licenzia. A casa non stappano nessun fiasco di vino (è la classe operaia delle periferie milanesi durante gli anni di piombo, mamma e papà di Antonio non so se abbiano mai stappato dello champagne in vita loro).
E' dura per un ragazzo della sa età non avere un lavoro: è grande, deve portare a casa il grano, mamma e papà mica possono mantenerlo a vita (te l'ho detto che per una volta la responsabilià non è tua).

Antonio la disoccupazione la vive male, fosse un bimbominkia avrebbe internet a riempirgli le giornate e farlo sentire un po' meno emarginato da una società dalla quale, effettivamente, si sta emarginando, ma è il '76, per le strade si spara, e i bimbiminkia non esistono ancora.
Non ha internet, ma una maniera per emanciparsi la deve trovare, vuole prendere in mano la situazione e trovare se stesso, non è un operaio, non è uno studente, e qualche cosa quando si guarda allo specchio deve vedere in se stesso che lo identifichi come essere senziente e vivo. E' il '76, non è uno studente, non è un operaio, la clase sociale alla quale appartiene è quella che è, e così prova. Vuol prendere a calci il mondo e tirarsi fuori da quel nero dell'indecisione esistenziale. E così buca.

La sua ragazza, Filomena, ha una storia tutta diversa, simbolo di un'italietta divisa in due, tra nord e sud, tra voglia di progresso e rituali preistorici.

Filomena. Donna. Donna che vuole avere una sua vita, decidere di questa sua vita, e organizzarsi un futuro.
Ma le donne del suo paese stanno chiuse in casa, al lavoro ci pensa il marito. E' il 76, e definire la condizione di Filomena "terrona" è molto più esplicativo che offensivo.
Ma Filomena di "terrone" ha poco, forse niente, e a 17 anni scappa di casa. Prende il treno, e i suoi sogni salpano per Milano.
Ora, sarebbe facile e scontato identificare in Milano il tritacarne divora innocenza che inevitabilmente vi sarete resi conto sta per arrivare, ma Milano, per Filomena, in quei suoi diciassette anni, è solo la Milano della speranza e delle opportunità.
Dopo una settimana che è in città vive in una pensione che paga lavorando come segretaria in uno studio di Vincenzo Monti (o Monte Napoleone, non ricordo. E soprattuto poco importa: il concetto fondamentale di tutto questo è che siamo tutti dei bimbiminkia, e lei una 17enne che ci apre il culo e ci sputa dentro).
Ma scappare è un errore: una madre e un padre normale farebbero quello che fanno anche i suoi genitori e avvisano la polizia. Foto segnaletiche, la proprietaria della pensione che compra il corriere della sera, la denuncia alla polizia, e Filomena che torna in "Terronia".
Dove, apunto, purtroppo ritrova i suoi genitori anormali (definirli "terroni" sarebbe veramente troppo facile e sbrigativo)
Voleva farsi una sua vita e la chiamavano già puttana, inutile sperare che quando Filomena la sua vita dimostra di potersela fare (a diciassette anni) la tiritera possa cambiare.
Puttanta. Puttana. Puttana. Le donne per bene non fanno così, Puttana! Nessuno ti vorrà più PUTTANA. HAI DISONORATO LA FAMIGLIA, PUTTANA. (grazie "mamma", grazie "papà"... Tranquilla Filomena: la via crucis è appena iniziata, la corona è sulla tua testa, ma ancora non hai provato il peso della croce, e il Golgota non è neanche all'orizzonte, ne hai ancora da vedere...).

Un giorno papà porta a casa un amico, cieco, vecchio. Cenano tutti assieme, mamma papà puttana e cieco. Quando la serata finisce mamma chiede alla puttana cosa ne pensi del commensale appena uscito: "vuoi sposarlo, puttana?"
Certo che no, è disabile, in là con gli anni, e Filomena non ne ha ancora diciotto.
Ok, domani ne proviamo un altro, ma non illuderti puttana, sei disonorata, nessuno ti vorrà, non aspettarti di meglio.
Un mese. Un invito al giorno, un caso umano a sera. Prima o poi filomena desisterà.
Ma Filomena non ha internet, non sa cosa siano i bimbiminkia, e ha due coglioni da far invidia a qualunque "uomo" calchi l'osceno palco di casa sua.

Un giorno riceve una lettera, dalla Germania. Suo cugino ha raccontato la sua storia a un suo collega, e al collega delle stronzate da italia contadina non gliene può fottere di meno e si offre di sposarla.
E così Filomena, appena diciottenne, parte sposa per la Germania dove finisce a lavorare in fabbrica. Totalmente ignorante di tedesco. Ogni giorno commette errori che la barriera linguistica non le concede di comprendere e il marito non lo vede mai, solo al sabato e alla domenica. Ma lui beve, tanto. E i coglioni di Filomena esplodono nell'ultimo gesto di coraggio disperato.
A 19 anni è di nuovo Milano. Calpestata dal padre dalla madre e dalla vita, buca pure lei.

Antonio e Filomena, al terzo tentativo di disintossicazione.
Il primo è tragicomico, l'inadeguatezza assurda del metodo medico fa si che la disintossicazione duri una settimana, la seconda passa per l'agricoltura, i campi, la natura. Un paradiso. Poi si torna a casa, a Milano. Si ritrovano le stesse situazioni di quando si è partiti, e si ricomincia a passare le giornate a spacciare. Ogni sei buste una dose gratis.
Un giorno da amsterdam parte una partita bastarda. Per metà eroina, l'altra metà stricnina (STRICNINA, se non sai cos'è vattelo a vedere su wikipedia).
Filomena e Antonio lo sanno, ma Filomena finisce lo stesso in ospedale fatta di stricnina. Poca, il pusher le aveva dato una dose micragnosa, voleva incularla per bene. Le ha salvato la vita. Cosa che non fanno i medici: "ma che stricnina??? Sei solo una tossica che s'è sparata una dose troppo grande..." (bontà loro: almeno non le han dato della puttana).
Sei ore di barella in corsia in attesa di una visita. Viola, i muscoli delle gambe di legno, il collo nelle stesse condizioni che le strozza il fiato in gola, e i medici che ironizzano.
Poi grazie a dio le sei ore passano.
Non è che dopo sei ore la visitino,: dopo sei ore, grazie al puscher bastardo, la stricnina molla un po' la presa e Filomena riesce a scendere dal lettino e con le sue gambe doloranti e torna a casa. Non ha ancora 22 anni.

Ora Filomena ci sta provando per la terza volta. Rifiuta la comune agricola, che può essere solo un primo passo E, porcodioladro (se dio esistesse giustificherebbe la bestemmia in questo caso), si rifiuta di considerare l'idea secondo la quale il suo malessere è dovuto al fatto di avere un cattivo rapporto con chi l'ha chiamata puttana per venderla in germania. Vuole quello che vuole Antonio: "lavorare su di noi non basta, sono le condizioni sociali del paese che devono cambiare".

Ieri ho perso due ore a cercare in rete notizie sul documentario, e ovunque, probabilmente giustamente, Filomena e Atonio non hanno cognome.
Non posso scrivere a nessuno dei due per mandargli un abbraccio gonfio di lacrime e rispetto, posso solo sperare che ce l'abbiano fatta, che siano entrati a contatto con il mondo dei bimbiminkia, che abbiano una connessione, e che per caso finiscano su questa pagina.
E se mai il miracolo dovesse avvenire, e se mai avessero la pazienza di leggere fino a qui: Ciao Antonio, Ciao Filomena spero che abbiate trovato l'amore e il rispetto che qualunque essere umano merita e dovrebbe pretendere.
Io ve ne mando un tanto tanto tanto tanto e ancora tanto di più, un "tanto" per ogni volta che Filomena è stata chiamata "puttana" e un tanto per ogni busta che avete venduto alla disperata ricerca dei 3,4 buchi giornalieri.

Tornando invece a noi bimbiminkia di debaser, e alla recensione sull'opera: un'altra volta, per oggi mi pare più che sufficiente.


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