Quando negli anni '20 del XVIII secolo Antonio Vivaldi scrisse Il cimento dell'armonia e dell'inventione probabilmente non immaginava di star lasciando all'umanità alcune delle pagine non solo più memorabili e splendide, ma soprattutto più famose della storia della musica. Il concetto di "fama" appare nel caso di Vivaldi quasi più importante rispetto alla qualità in sé delle sue composizioni (comunque fuori discussione): la sua musica è diventata negli anni così iconica da porsi come uno dei riferimenti assoluti dell'arte musicale, tanto che se si chiede ad una qualunque persona in strada di canticchiare un brano di musica classica una notevole percentuale lallerà il primo movimento de La primavera. L'esecuzione oggetto della recensione è un'ulteriore prova della celebrità estrema raggiunta da questa musica: l'orchestra è infatti la Chamber Orchestra of Europe che raccoglie gente proveniente da ogni parte d'Europa e con ogni background musicale alle spalle. L'edizione recensita presenta i primi sei dei dodici concerti della raccolta, cioè Le quattro stagioni, La tempesta di mare ed Il piacere.

Il cimento dell'armonia e dell'inventione è una raccolta di dodici concerti eterogenei fra di loro. Solo i primi quattro sono legati da un vincolo e sono appunto quelli passati alla storia come Le quattro stagioni: suonati di seguito durano tre quarti d'ora scarsi e rappresentano una delle vette della storia della musica. La maggior parte dei critici musicali considera questi quattro concerti tripartiti come la massima espressione della musica figurativa mai apparsa sulla Terra, ed a ragione: ex bambino prodigio, ex prete, ex impresario teatrale, Vivaldi concepì quattro concerti basati su altrettanti sonetti da lui stesso scritti che cercò letteralmente di trasporre in musica; essendoci pervenuti questi componimenti poetici, oggi sappiamo perfettamente cosa la musica cerca di rappresentare visivamente, ma paradossalmente non servono quasi a nulla: la musica di Vivaldi è semplicemente perfetta in tutto, dalla melodia al ritmo all'arrangiamento a qualunque altro aspetto, e riesce a comunicare con esattezza delle immagini come e talvolta meglio delle parole. Il primo movimento de La primavera è così stra-notissimo che rischia l'"effetto Gioconda": è così famoso che potrebbe apparire scontato ed ovvio... ma non è così: la strepitosa corolla di archi, subito supportata dal basso continuo, disegna con precisione nella testa dell'ascoltatore il volo di alcuni uccelli fino allo stupefacente, stupefacente assolo di violino di rarissima perfezione ed enorme commozione. Anche gli altri due movimenti, meno noti, vincono la scommessa della fama: la piacevolezza di un sonnellino è disegnata da uno dei primi esempi (il primo esempio?) di musica ambient conosciuti, e la danza finale è festante e vagamente parnasea. La travolgente notorietà de La primavera ha leggermente messo in ombra le altre stagioni: male, perché forse il capolavoro assoluto fra le quattro è rappresentato da L'estate; in questo eccezionale saggio di bravura inventiva (è appunto un "cimento dell'invenzione") si può sentire l'arte di Vivaldi ai massimi livelli. La capacità mimica è davvero sconvolgente: nel primo movimento la quiete è interrotta dagli uccellini che cantano l'arrivo di un temporale, nel secondo s'intuiscono dei tuoni lontani, e nel terzo si è trascinati all'interno di un violento acquazzone. Quest'ultimo movimento è certamente uno dei brani più eccezionali della storia della musica: la melodia è superba, ed è completamente geniale la differenziazione delle velocissime sequenze grazie ad ingegnose soluzioni contrappuntistiche coadiuvate dall'altalena fra gli archi ed il basso in una sorta di barcarola a velocità decuplicata. Atmosfere amene tornano ne L'autunno, i cui tre movimenti (recuperando alcune idee melodiche de La primavera) descrivono raccolta & consumo del vino e caccia con freschezza ancora oggi inalterata; è forse la parte più scontata ed attempata dell'opera, eppure così ricca di spunti da essere stata d'ispirazione a Johann Sebastian Bach in più di un'occasione. L'inverno chiude la raccolta in maniera non meno affascinante de L'estate: la prima parte dipinge con spirito quasi pre-romantico le sferzate di vento gelido, la seconda è un divertissement così avanti da sembrare musica simbolista, e la terza rappresenta gente che cammina sul ghiaccio, a volte adagio adagio per non cadere ed a volte facendo gran ruzzoloni. L'inverno è la parte più avanguardistica dell'opera, in anticipo di almeno due secoli e con soluzioni armoniche totalmente inedite e straordinariamente ardite al tempo: paganiniano prima di Paganini il violino solista nel primo movimento, raveliane prima di Ravel le goccie di pioggia nel secondo e schönberiane prima di Schönberg le parti sottovoce nel terzo. L'inverno raccoglie in otto minuti scarsi (tanto dura) le successive evoluzioni della musica strumentale. Non meno eccezionali le invenzioni melodiche, gli abbellimenti piazzati in maniera bizzarra, le riprese inaspettate, i cambi di tempo improvvisi: i tre movimenti finali sono una raccolta di idee messe in opera in maniera semplicemente perfetta. I successivi La tempesta di mare ed Il piacere (anch'essi strutturati i tre parti e con scopo figurativo, ma con intento molto più blando e senza il sostegno dei sonetti) sono eccellenti esempi di sperimentazione musicale ad un livello che tocca la matematica pura, ma sono melodicamente molto meno convincenti rispetto a Le quattro stagioni; gli "strascichi" e le scale in sù e giù che il violino solista affronta rispettivamente nelle due opere sono comunque eccezionali dimostrazioni di conoscenza tecnica dello strumento come raramente avverrà in futuro (se non nel caso del già citato Paganini).

Il famoso ed eccellente violinista Uto Ughi si è spesso lasciato andare a dichiarazioni piuttosto forti sulla musica d'oggi: è storicamente non interessato al fenomeno, e qualche volta si è espresso con durezza anche verso i grandi miti contemporanei come De André e Mina, asserendo che alcuni vertici della musica del passato sono nemmeno intuibili dai musicisti d'oggi. Probabilmente esagera: si può obiettare che la musica del passato richiede un orecchio, se non più allenato o più colto, comunque quantomeno diverso da quello che serve per la musica pop e rock. L'ascolto de Le quattro stagioni però può mettere in crisi anche il più strenuo sostenitore della maggior ascoltabilità della musica d'oggi rispetto a quella di ieri: Vivaldi ha creato brani già editati per le radio (i singoli movimenti non raggiungono nemmeno i cinque minuti) e così vivaci e piacevoli che ancora oggi, guada caso, sono gettonatissimi come jingle pubblicitari (che devono notoriamente essere catchy). Spero che nessuno se ne abbia a male se scrivo che Le quattro stagioni sono la raccolta di musiche più catchy mai scritte.

 

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