Le trilogie non sono di certo un'idea tanto originale nel cinema di oggi, al contrario, sotto certi aspetti, sembra che sia diventata una vera e propria moda. Così mentre Sofia Coppola e Gregg Araki sono alle prese con l'adolescenza turbata, Gus Van Sant fa già i conti con la morte, Lars Von Trier ricorda i tempi del sogno americano, Allen e una variegata combriccola di registi e sceneggiatori omaggiano la Grande Mela in un'unica pellicola, fra l'Italia, la Cina e gli U.S.A. ci si dedica all'erotismo. Ma più che di trilogia, con "Eros" (2004) si parla di un trittico: tre episodi diretti rispettivamente da Michelangelo Antonioni, Steven Soderbergh e Wong Kar-Wai legati da un comune denominatore che è appunto l'erotismo e dai disegni del celebre illustratore Lorenzo Mattotti che intervallano i tre racconti.

Il progetto è ambizioso e a lanciarlo fu proprio il grande Antonioni. Gli due altri cineasti raccolsero l'invito con grande entusiasmo e a lavoro compiuto "Eros" fu presentato fuori concorso alla 61ma mostra di Venezia. Inizialmente l'ordine in base al quale erano stati disposti gli episodi prevedeva Kar-Wai in exploit seguito da Soderbergh e alla fine Antonioni. E' chiara l'intenzione di lasciare all'ideatore del progetto nonché indiscusso Maestro del cinema italiano e internazionale il posto d'onore, l'ultimo, per lasciar che gli appassionati di cinema si rodessero dalla curiosità e potessero sentirsi completamente rinfrancati e appagati a fine visione. Purtroppo la critica non si dimostrò entusiasta dell'episodio Antonioniano (Mamma quanto suona brutto... però Michelangiolesco non potevo usarlo per ovvi motivi perciò mi arrangio) e così per ragioni commerciali l'Italia si scambiò di posto con la Cina, come a dire "sceppiamoci questo molare e facciamo anche presto.". Mi è risultato difficile dare un voto complessivo a quest'opera dato che si barcamena fra livelli altissimi a altri mediocri, pertanto avrei avuto l'impressione di sottostimarla o esaltarla in maniera errata; d'altronde mica vi stanchereste nel ripercorrerli uno per uno?

"Il filo pericoloso delle cose"- Michelangelo Antonioni. Regina Nemni e Christopher Buchholz formano una coppia in crisi che decide di ravvivare il proprio rapporto avvalendosi della complicità della serena costa toscana. Lui però incontra una donna (Luisa Ranieri) che lo attrae per la disinvoltura promiscua del suo atteggiamento che ricorda al protagonista la libertà sessuale che ha sacrificato per la vita di coppia e con lei ha un rapporto sessuale. La mezz'ora di Antonioni si conclude con l'incontro delle due donne sulla spiaggia. Adesso, chi conosce qualcosa di meno scontato di un uomo che tradisce la moglie perché gli è venuto a noia il loro rapporto, alzi la mano. La trama non è assolutamente originale e Luisa Ranieri non è di certo la Loren. Come ogni opera finale, anche questo "Il filo pericoloso delle cose" lascia la sensazione di una rimasticatura di quanto già detto in passato come l'incomunicabilità che lo ha da sempre posto in binomio con Bergman, l'irreversibile ripresa dei rapporti incrinati. Ragionevolmente deludente.

"Equilibrium"- Steven Soderbergh. Dalla Toscana dei giorni d'oggi voliamo a New York indietro di circa cinquant'anni e abbandoniamo lo splendido panorama settembrino italiano per entrare nel piccolo studio di uno psicanalista (Strano a dirsi ma è un bel salto di qualità). Il paziente è Robert Downy Jr che racconta al suo analista (Alan Arkin) un sogno ricorrente che turba le sue notti: una donna si alza dal letto sul quale lui frattanto giace, si riveste con calma ma non rivela il suo volto e l'uomo non riesce a ricordare chi fosse costei. Nello stesso frangente l'analista spia con un binocolo ciò che accade in un appartamento dirimpetto al suo studio e lancia verso la finestra che gli fa da palcoscenico dei biglietti. Differentemente da Antonioni dove tutto è reso esplicito con il fine di raggiungere una sensualità quasi gridata, l'episodio diretto da Soderbergh si carica di un erotismo che non sussiste in scene forti e lascia molto all'immaginazione dello spettatore; il risultato è un crescendo continuo di carica erotica. Si aggiunge quel tocco velato e ipnotico del bianco e nero che stride con i colori quasi ipertrofici con il quale sono state realizzate le scene del sogno. Personalmente il mio preferito.

"La mano" - Wong Kar-Wai. Un sarto si innamora della sua cliente (Gong Li), una prostituta d'alto bordo e non la abbandona anche dopo che la sua bellezza è ormai dispersa. Kar-Wai è stato fra i tre quello più lodato. La mano di lei che strisca sulla patta di lui è una scena davvero memorabile. Tuttavia più che un episodio erotico, Kar-Wai realizza una eccezione: la storia a sfondo sessuale fra il sarto e la prostituta non si basa solo sulla fisicità (Elemento fondante dell'erotismo) ma è un atto spontaneo che lo diversifica da quelli che la protagonista comunemente compie.

Conludo perché adesso devo uscire e vi dico frettolosamente che la colonna sonora realizzata da Caetano Veloso è un omaggio ad Antonioni (basta leggere il titolo) e il film è stato bandito in Cina, in quanto reputato eccessivamente esplicito.

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