Ricordo, come fosse oggi, la sorpresa nello scoprire quello che sarebbe stato l’album elettronico che per me rimane il più bello ed emozionante degli anni ’10: parlo del Self-Title album della qui recensita Arca, all’anagrafe Alejandra Ghersi, compositrice di straordinario talento (d’apprima Alejandro, avendo portato avanti dal 2018 ad oggi un processo di cambio di sesso pienamente documentato sui social, specialmente Instagram), avente impresso nel suo dna un modo avanguardista (realmente avanguardista), di approcciarsi alla materia elettronica, dapprima con i primi suoi due lavori strumentali, e poi con il suo capolavoro, dove integra la sua straordinaria vocalità contorta, sintesi di ricerca interiore, estetica e musicale accoppiata ad una profondità di scrittura realmente difficile da trovare altrove.

Quindi capite molto bene con quali speranze e con quanta fremente attesa aspettavo questo nuovo Kick I, e adesso che da un paio di giorni è in rotazione continua nel mio lettore, nel tentativo di carpirne ogni angolo nascosto, ogni singola sfumatura, nel tentativo di eviscerarlo cercando di cogliere ogni motivazione che abbia portato Arca a cambiare così tanto rispetto al mio amato album precedente, credo d’esser arrivato ad un punto: insieme alla sua sessualità, Alejandra ha cambiato modo di approcciarsi al mondo e con questo anche il modo di approcciarsi alla materia musicale. Mentre “Arca” era un album scuro, malinconico fino al midollo, a volte triste, altre desolato, dove si faceva fatica a trovare uno spiraglio da cui far entrare anche un minimo raggio di luce, “Kick I” è semplicemente il calcio, dopo la transazione, che Alejandra dà a tutti i tormenti passati; quindi ci viene consegnato un album più spigoloso, più aperto alle contaminazioni esterne (Techno, Raeggaton dall’iperspazio, R&B, ecc), ma più arioso, meno cupo, dove l’artista si confronta per la prima volta con altre personalità del panorama musicale odierno (l’amata Bjork, Rosalia, Sophie, Shygirl), ricavandone un’album forse meno potente emotivamente rispetto al passato, ma non per questo meno affascinante e protratto al futuro della musica.

Dalla bellissima Nonbinary alla malinconica e bjorkiana No Queda Nada, un viaggio nella nuova visione generale di Alejandra, un viaggio pieno di sfumature e stili diversi, a volte troppo spiazzanti, a volte sensazionali, un viaggio fatto di glitch, ascensioni nell’iperspazio, elettronica mutante, ritmiche quasi industrial, destrutturazioni avanguardiste, pieno di una personalità, un lirismo ed un originalità debordanti e difficili da trovare altrove, un viaggio forse interlocutorio che precede qualcosa di molto più grande ma che va, già da adesso, ad incoronare la nostra come regina della contemporary music.

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