Stasera accarezzo l'aria. Il perchè lo so io.

La prima impressione è che i White Lies puoi permetterti di non conoscerli che tanto non ti perdi niente, sono un antipasto dalla chitarra argentata servito scotto, di fretta, mentre l'acquolina sta già bramando la portata principale che hai letto sul menù appeso a destra della porta d'ingresso. Prima, da fuori, ho sentito qualcosa dei Cloud Control e parevano più interessanti. Me ne sto disteso sull'erba e consumo un Chupa Chups alla Coca Cola, attorno non c'è nessuno, ci sono solo io. Siediti e aspetta, mi dicono. Mi siedo e aspetto. Una cosa che adoro è il vento, sembra sempre voler ripulire il presente, e di vento stasera ce ne è il giusto. Gli Arcade Fire si fanno attendere quanto basta, non sono una sposa che si concede attese vanitose e snervanti, non sono un Lord Inglese che spacca il minuto, sono canadesi che rispettano i tempi e non li sbagliano mai. Li vidi già all'Eurockeennes di Belfort nel 2007, suonavano come gruppo di chiusura, allora portavo i capelli lunghi, ero sbarbato, avevo addosso una maglietta dal collo a V azzurro scuro, un tono forte, con sopra scritto in nero "Let's do it now" e portavo un paio di polsini presi dalla mia collezione che ora giace impolverata in un cassetto. Saranno sì e no una cinquantina, ricordi di quando prima di uscire di casa mi chiedevo quale paio stesse meglio con la maglietta che avevo deciso di mettermi. Quel giorno ne avevo due verdi e bianchi, che tutto sommato non stonavano con ciò che indossavo. Era da poco nato il mio amore per il colore. Pioveva, oggi no, oggi vesto una maglia Merc London azzurro chiaro e porto al polso un bracciale d'oro. Faccio fatica ad accendermi una sigaretta a causa del vento, benedetto tu sia, mi preparo una risposta a chi mi chiederà di donare soldi per Haiti, povera gente, dicendo che ho già speso tutto per cibarmi. E non è neanche una scusa, mi alimento con una rustichella e una Tennent's fuori, all'interno dell'Arena danno solo una cazzo di Nastro Azzurro, vabbè dammi una media, poi un'altra, e il portafogli si ritrova vuoto; ad Haiti comunque ho già donato qualcosa tempo fa. C'è anche una bancarella di vinili, dove avrei acquistato volentieri un "The Wall" con in copertina i due martelli incrociati. Pace, l'avrei solo usato come elemento d'arredamento visto che mi manca un giradischi. Non sbagliare i tempi è tutto nella vita, nei rapporti personali, è un inconscio legame che ti fa capire chi ti può stare accanto senza invadere gli spazi di cui hai bisogno.

Gli Arcade Fire salgono sul palco mentre il cielo di Milano si fa bordeaux, io che ero sdraiato mi alzo in piedi, capisco che il momento è loro. L'unico che poteva essere, ed è stato. "Ready To Start", oh sì. Poi quello che aspettavo, uno spicchio di quel mio piccolo monumento personale che è "Neon Bible": "Keep The Cars Running", "No Cars Go", "My Body Is A Cage". Lì in mezzo, anche "Haiti". Il cielo s'è fatto scuro intanto, mi guardo attorno e in mezzo a gente che balla, muove la testa, beve, scrive, segue, urla, si spruzza Autan, in mezzo sono sempre solo io. Malgrado le consacrazioni mediatiche che cercano di farne un prodotto mainstream a tutti i costi, gli Arcade Fire rimangono uno dei migliori gioielli Indie del decennio passato, io pure muovo un po' la testa e batto il piede per seguire quel ritmo ipnotico che in pochi sanno portare con tanta eleganza, Win Butler ha lo stesso taglio di capelli da deficiente del 2007 e credo anche la stessa camicia blu a maniche corte, pezzata allo stesso modo. Intanto le zanzare mi hanno punto in posti che pensavo fossero per loro irraggiungibili. Tre dischi e mezzo finora, tutti qui: adesso è il momento dell'esordio "Funeral" affidato alla caramellosa "Crown Of Love", sulla quale il bovino canadese si scorda le parole ma ha il buon gusto di ammetterlo - adoro questi momenti in cui anche chi sta su un palco si dimostra umano - prima della parte centrale dedicata al più recente "The Suburbs" con la composizione omonima, "Month Of May" (Maggio, sempre un gran bastardo) e "Rococo". Dietro a questo gruppo-famiglia, sbiadite immagini sugli schermi giganti (?) accompagnano la musica senza la pretesa di stupire, l'orecchio sta sempre in primo piano tant'è che spesso io ascolto a palpebre abbassate.

Ascolto in attesa di "Intervention" che finalmente arriva, prima della prima "Neighborhood", per ricordarmi che i capelli lunghi li sapevo portare nonostante i pareri contrari, suonano le note d'organo (un po' scialbe rispetto alla versione su disco) e mi ritrovo a fianco un ventiquattrenne con la maglietta dal collo a V azzurro scuro e i polsini verdi e bianchi che mi guarda strano mentre mi accendo una Marlboro. Che vuoi? Niente, ascolto "Intervention" mi dice. Non dovresti fumare, aggiunge, poi sparisce. Fottiti. "We Used to Wait", la terza "Neighborhood" e "Rebellion (Lies)" chiudono prima della solita, noiosa ma evidentemente obbligatoria, scenetta degli encores, affidati a "Wake Up" e "Sprawl II", alfa e omega di questo gruppo d'angeli ballerini stasera un po' avari, un'ora e mezza scarsa, ma va bene così.

Ritrovo la bicicletta, decido di attraversare il centro, Arco della Pace, Cadorna, piazza Castello, via Dante, Duomo, via Mazzini, Missori, corso di Porta Romana e via di lì. Attorno c'è un gran silenzio, tutto tace. No cars go.

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