Gli Arena nascono nel 1993 dalla mente del talentuoso e iperattivo tastierista Clive Nolan. Quest’ultimo è un musicista molto apprezzato nell’ambiente progressive e, oltre alle innumerevoli collaborazioni, è membro di uno dei gruppi più importanti del new prog anni ottanta: i Pendragon. A far parte del progetto vengono chiamati l’ex batterista dei Marillion Mick Pointer, da lungo tempo lontano dalle scene musicali, e l’ex chitarrista degli Asia Keith More. A completare la line-up il veterano Cliff Orsi e il cantante John Carson, il cui timbro vocale a tratti ricorda Fish, il leader dei Marillion.

La musica proposta è un prog melodico ed elegante, le cui influenze sono riconducibili al passato dei vari componenti. Un sound immediato che punta sull’inventiva armonica e melodica, sulla raffinatezza degli arrangiamenti e anche su qualche ammiccamento pop.

Il disco di debutto ”Songs From The Lions Cage” esce nel 1995 e ottiene subito un buon successo di vendita e di critica. Confesso che mi ero avvicinato al gruppo senza grosse pretese, in un periodo in cui ero preso da altri tipi di sonorità, e all’inizio il lavoro non mi aveva convinto appieno. Ma ho imparato ad amare questo disco con il tempo ed è meno immediato di quello che può sembrare ad un primo ascolto.

Una chitarra aggressiva introduce “Out of the Wilderness”, brano impeccabile, a metà strada tra i Marillion di “Script” e gli IQ di “Ever”. Una riuscita miscela di due ere. A seguire “Crying for Help I”, un breve strumentale per sola chitarra acustica, il primo di una serie di intermezzi che separano le composizioni vere e proprie. I seguenti episodi di questa suite, tra suoni di clavicembalo, flauti ed atmosfere new age, portano alla splendida “Crying for Help IV”. Penultima traccia del disco e canzone vera. L’atmosfera creata da un organo in sottofondo, delicate melodie disegnate dal piano, un cantato sofferto e per finire un ispirato assolo dell’ospite Steve Rothery.

Nel mezzo ci sono la sinfonica “Valley of the Kings”, la più diretta “Midas Vision” con il suo refrain accattivante, e soprattutto “Jericho”. Quest’ultimo è un brano coinvolgente e dai differenti umori, che passa da una prima parte più introspettiva e malinconica ad una seconda più solare e magniloquente. In evidenza il singer John Carson, che dimostra grande versatilità e capacità interpretativa. A chiudere il disco viene lasciato il pezzo più bello del disco, la lunga e drammatica “Solomon”. Brano eclettico che gioca tra atmosfere floydiane, improvvise accellerazioni e splendide melodie tracciate dalla chitarra di More. A coronare il tutto un magistrale finale, caratterizzato dai cori ispirati ed un brillante assolo di chitarra.

Ritengo che questo sia il miglior lavoro del gruppo, consigliato in particolare a chi ama il lato più romantico del progressive. Io lo riascolto sempre con piacere.

Carico i commenti... con calma