Ho compreso, lungo gli interminabili ascolti e le novità da passare in rassegna (usa e getta sia mai), che la retromania è una brutta bestia: una gatta da pelare. Mi rendo conto che il 99% degl'artisti si esibisce tra il marcio e il putridume con quei cadaveri musicali - riesumati talmente troppe volte -, dei quali restano solo brandelli di nervi e tendini attaccati ad un osso forato come groviera.

Ariel Pink?
Ariel Pink no.
Ariel Pink no no no, NO! ARIEL PINK NO!

Ariel Pink non è retromane perché fa tendenza, la gente vuole le citazioni da favole kitsch e tantissime volte non è più nemmeno kitsch ma diventa post-trash da far schifo; Maracaibo come un ricordo nostalgico pre-adolescenziali? Terribile! Ariel Pink sta vivendo davvero quei suoi momenti tra fanciullezza e pubertà, lui è un perenne bambino, tanto quanto lo può essere Peter Pan e la sua isola che non c'è sono quegl'anni ormai ipnagogici.
La frivelozza new romantic e le assurdità zappiane, la goticità sabbatiana (presente anche nella cover) e la psichedelia americana dei tardi sessanta - un'isola all'interno dell'isola -, sono un minestrone di pastiche, minuziosamente selezionato cucendo tra loro tutte le aleatorità musicali, risultando fresco e genuino.
Forse suonerà meno potente e aggressivo, forse non è gioioso e caramelloso. I sing-a-long non sono la parte cruciale e i testi non si ergono al di sopra dei lavori passati, ma c'è compatezza, esiste una ricerca di se stesso, la resa di far parte di un altro mondo; la rassegnazione d'esser un oggetto ormai di culto e d'ispirazione.
Immagino sarebbe bello per lui sparire per sempre e non solo 25 anni come il quasi compianto Bobby.

P.S.: per Time To Live serve un'annotazione particolare: Residents, Chrome, Red Krayola con Buggles e AOR, forse il suo miglior pezzo finora scritto.

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