La follia, come è ben risaputo, ha sempre avuto un ottimo rapporto con la musica e con l'arte in generale fin dalle origini, ed è soprattutto negli anni '60 e '70 che questo connubio viene a consolidarsi in maniera particolarmente significativa. Artisti come Frank Zappa e Captain Beefheart danno alla luce capolavori come "We're Only In It For the Money" e "Trout Mask Replica" inizialmente incompresi, ma in seguito rivalutati dalla critica e dal pubblico, grazie alla loro profonda influenza sull'evoluzione musicale del ‘900.

A questa ridotta schiera di artisti appartiene un personaggio eccentrico, stravagante ma allo stesso tempo ambizioso, troppo spesso ingiustamente ignorato e rispondente al nome di Arthur Wilton Brown. Già verso la fine degli anni '60, per la precisione nel 1968, Brown con i suoi Crazy World dimostra di essere un precursore dei tempi, anticipando sorprendentemente le tematiche musicali che diverranno il pane quotidiano degli anni '70, ossia la spettacolarità teatrale (Alice Cooper, Peter Gabriel, Kiss), e l'innovazione musicale a 360°, prerogativa principale del Rock Progressivo che di lì a poco sorgerà. Purtroppo la stagione dei Crazy World risulta intensa, ma di breve durata, e già nel 1969 il gruppo si scioglie; Vincent Crane e Carl Palmer, rispettivamente tastierista e batterista, danno vita agli Atomic Rooster, mentre Brown continua a cavalcare il successo internazionale passando agli annali del Rock come "The God Of Hell Fire", grazie alle sue esibizioni pirotecniche con tanto di elmetto infuocato e di trucco pesante. Dopo due anni di continue ed innumerevoli esibizioni live nei locali underground londinesi Brown decide di raccogliere i frammenti di ciò che fu il progetto Crazy World e pensa ad una nuova band sull'onda del nascente Rock Progressivo, di cui si può indubbiamente ritenere uno dei padri fondatori. Nascono così i Kingdom Come, alla cui genesi segue quasi istantaneamente la pubblicazione del loro primo lavoro: "Galactic Zoo Dossier", datato 1971.

Si tratta di un "concept album" in stile tipicamente anni 70, composto da 14 brani che si susseguono ininterrottamente uno dopo l'altro senza pause o interruzioni. La traccia d'apertura, "Internal Messenger", è una sorta di rock folle e scatenato, guidato da una ritmica di organo Hammond che al primo ascolto fa rimanere basiti per la sua ambiguità. Il tutto è arricchito dall'interpretazione vocale di Brown, leader incontrastato della band, che già dal principio mette in mostra le incredibili doti canore, di cui è in possesso, faccendo reggere il paragone con mostri sacri come Gillan, Plant o Gabriel. Segue "Space Plucks", 2° brano, più tranquillo e rilassato, costruito su un breve giro di accordi e su un fraseggio di organo che porta alla mente, (per chi conosce gli Atomic Rooster), lo stile cupo e malinconico di Vincent Crane. La 3^ traccia, "Galactic Zoo", di stampo puramente psichedelico, risulta essere una breve introduzione per la 4^, intitolata "Metal Monster", un esercizio Jazz con alcune divertenti alterazioni sonore che danno l'impressione che il disco stia saltando. Segue "Simple Man", 5° brano, dove piano e basso in primis accompagnano la voce del leader durante continui ed incredibili escursioni vocali che ricordano un po' i Van Der Graaf Generator.

La 6^ composizione, come la 3^, funge da preludio alla seguente, si tratta di una breve parentesi sperimentale simil-Beefheart con effetto di voce anni '50; dopo questa si arriva al pezzo forte dell'album, ossia "Sunrise", una ballata spaziale di 7 minuti articolata in crescendo come un bolero che raggiunge il culmine nel finale. E' a questo punto che Brown da libero sfogo alle proprie virtù canore, raggiungendo, tra urla primordiali e acuti svavillanti, vette interpretative inconcepibili. La traccia seguente intitolata "Trouble", è una nostalgica filastrocca folk-psichedelica, cantata dal chitarrista della band, con il compito di conferire all'ascoltatore un attimo di distensione dopo l'orgia sonora precedente. Si giunge quindi a "Brains", un pezzo per coro, stile Gospel, che introduce il 10° brano, intitolato "Medley", in cui vengono riproposti i temi melodici di "Space Plucks" e "Galactic Zoo" in chiave prettamente Jazz. Da questo momento in poi, inizia la parte più intensa e vigorosa dell'intera opera, con "Creep" e "Creation", (rispettivamente traccia 11 e 12), si raggiunge l'apice della sperimentazione: manipolazioni sonore, trattamenti elettronici e virtuosismi vocali di vario genere introducono l'altro pezzo forte dell'album, "Gypsy Escape", un brano strumentale di circa 8 minuti, dove geniali divagazioni di chitarra, ma soprattutto assoli di organo Hammond, dominano la scena in maniera singolare. L'ultima traccia, intitolata "No Time", chiude l'album magnificamente, trattasi di una cavalcata Rock costruita su di uno schizofrenico riff di organo Hammond, alla maniera dell'opener track "Internal Messenger", di cui nel finale ne viene riproposto il tema melodico ricorrente.

In conclusione è doveroso affermare che "Galactic Zoo Dossier" rappresenta, sotto tutti i punti di vista, una rara perla musicale rimasta anonima per troppo tempo, un capolavoro di folle creatività e di rara originalità che meriterebbe di essere riscoperto non solo dalla critica, ma da tutti cultori del Rock in senso stretto.

Un solo aggettivo: geniale.

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