Nel 1994 fare un disco rock in Irlanda del Nord non poteva voler dire fare del brit-pop, soprattutto se si hanno diciassette anni e una chitarra che suona ancora molto grunge. Il debutto sbarbatello degli Ash, due anni prima di "Girl From Mars" e del trionfo commerciale di "1977", è una preziosa testimonianza di una preistoria brit-pop dalle sonorità decisamente americane, ruvide, graffiate e lo-fi. Ossia, anni luce di distanza dal brit-sound.

Così, tra un'interrogazione e un compito in classe (senza fare tour, perché bisogna finire la scuola), nasce "Trailer": undici pezzi di indie-rock primi anni novanta, bilanciati tra influenze grunge e punk, tra Nirvana e Dinosaur Jr. Tim non ha ancora la voce ripulita e gentile, ma acerba e sbilenca; la sua chitarra lavora per due, si sobbarca gli assoli (non banali) e si gestisce gli accompagnamenti, sempre molto effettati e rumorosi; il basso di Mark è eternamente distorto; la batteria di Rick picchia e non perde un colpo, rallentando di rado. "Intense Thing" è un risultato ben rappresentativo di questa alchimia tra rabbia brufolosa e talento: un pezzo violento, rozzissimo, registrato discretamente male, con aperture quasi noise. Da applausi.

Altrove gli Ash ricordano i Pavement, si sporgono in territori indie che non torneranno più nella loro produzione, se non in qualche residuo di "1977" o in qualche b-side nostalgica. Peccato, perché qui tutto sembra funzionare alla grande. Gli apici sono "Uncle Pat" e "Petrol", due canzoni dalla struttura elementare, con una strofa ripetuta che sostituisce di fatto il ritornello, un basso che ricicla infinitamente lo stesso giro, Wheeler che si sbizzarrisce in assoli divertiti, testi evocativi attorno ad un'adolescenza scalcagnata e fantasiosa. Si respira un'atmosfera da America di campi di grano, a piedi nudi. Stesso discorso per un altro pezzo indie lo-fi notevole come "Different Today": riff memorabile, batteria inviperita, voce scazzata spersa in uno sfondo sporchissimo.

"Get Out" è puro punk-core: un minuto e mezzo di rumore indemoniato e frasi urlate, mentre "Punk boy" suona punk-rock quasi come i Green Day di quegli anni. C'è posto persino per due sperimentazioni semi-strumentali ("Obscure Thing" e "Hulk Hogan Bubblebath"), tra noise e hardcore, tra Sonic Youth e i Nirvana di "Bleech". Delirante ma notevole il finale più melodico di "Day Of The Triffids", altro pezzo di tutto rispetto assieme al piccolo cult che è il rock direttissimo di "Jack Names The Planets". Disco nascosto, americano da cima a fondo, da riscoprire.

Finisco con dell'amarcord. Ricordo il 7 pieno che diede NME a questo disco di sconosciuti diciassettenni: conservo ancora quella copia piena di polvere. Ma soprattutto ricordo ancora con una certa dose di incomprensibile commozione quando gli Ash furono ospiti di una trasmissione inevitabilmente penosa di Red Ronnie su Videomusic. Era dopo "1977", nel 1996, e lo studio pullulava di ragazzine-punkettine urlanti che preferivano (siano lodate) gli Ash ai Take That. E i tre, ancora sbarbatelli, suonarono qualche pezzo live. Alcuni li scelsero loro, ed erano i successoni per promuovere il disco: "Girl From Mars", "Goldfinger", "Oh Yeah". Due brani, però, li fecero scegliere alle ragazzine-punkettine urlanti. Ci credereste? (Dovete, perché ne conservo un ricordo limpido). Dovettero suonare, un po' stupiti, "Uncle Pat" e "Petrol": due pezzi di "Trailer".

Ora, con i se e con i ma non si fa la storia. Ma è lecito chiedersi, nel nome di quelle ragazzine buongustaie, cosa sarebbero ora gli Ash se avessero conservato l'incosciente coraggio di questo disco. Senza rispondere, si intende…

Carico i commenti... con calma