Comincia così, tra rumori di mercato e "sana vitalità" questo ultimo lavoro dell'uomo che ha reinventato il tango moderno dandogli nuova linfa ed espressività. Più che un normale album di canzoni, una vera e propria summa del percorso artistico (e umano) di questo artista per anni accusato di "tradimento" dal movimento più conservatore del "classico tango" argentino. Un artista che ha saputo coniugare la "tensione emotiva" del linguaggio tanghero tradizionale con la capacità espressiva delle nuove sonorità europee di derivazione "rock" (anche se la parola e leggermente fuori luogo benché la si intenda nella sua eccezione di "rottura") e la complessità compositiva di un certo jazz sperimentale.

Un disco che fa respirare a pieni polmoni l'aria sofferta e malinconica di un autore all'apice del suo percorso artistico. Il continuo balletto tra la vita e la morte è il tema conduttore dell'album, profeticamente chiamato "Ora Zero" (come un desiderio di abbattere gli steccati di genere per riappropiarsi di una musica "senza confini" come la sua e ripartire da zero, appunto, senza limitazioni di forza). Un album intriso di struggente bellezza e malinconica passione che si insinua come una brezza impalpabile sotto pelle e che ci trasporta in suggestioni sonore (e visive) che raramente si ascoltano nella musica contemporanea (sentire il contrappunto poetico e suggestivo tra il bandoneòn e il violino di Fernando Suarez con l'intermezzo quasi cinematografico di un film di Truffaut, nel brano "Concierto Para Quintetto").

Musica che è pura poesia senza parole, note che sono leggere e implacabili come stillettate date in punta di fioretto, suggestioni di immagini che si "fanno" suono dove tutto si fonde armonicamente creando un mondo a se stante e ricostruendo (e rivisitando) ex novo tutta la malinconica bellezza e il fascino amaro del Tango moderno. Ma il disco è molto di più. Il brano "Milonga Loca" ci fa conoscere un Piazzola eclettico, sincopato, virtuoso, in continua ricerca di modalità espressive sempre sul filo di una modernità mai fine a se stessa che tende a recuperare quegli aspetti "visionari" unici del suo stile. Un disco memorabile da gustarsi "con le orecchie" ma anche, e soprattutto, attraverso le scene suggestive che l'immaginazione è necessariamente portata a creare, suggestionata da tanta cinematografia inespressa (sfido chiunque a non "vedere" a occhi chiusi una scena di fuga, un addio tormentato o a qualcosa di altrettanto "forte" ascoltando un brano come "Michelangelo'70"...)

L'incedere seduttivo e irresistibilmente sexy avanza sornione e implacabile con le note introduttive di "Contrabajisimo", una milonga sul generis che incrocia la classicità di passaggi presi in prestito dal Bolero di Ravel per aprirsi, quasi per magia, a momenti di sereno incanto a metà del brano per poi riprendere la "folle corsa" iniziale in duetti alternati di sano virtuosismo tra violino, bandoneon e il piano magistrale di Pablo Ziegler (con Horacio Malvicino alla chitarre e Hector Console al basso, a completare il quintetto). Con l'utimo "Mamuki" il nostro tanghero si commiata dal disco con 9 minuti di dolentissimi accordi che lacerano l'anima anche delle persone più preparate a sbalzi emotivi di questo calibro.

Un disco che finisce con un lungo lamento, un ultimo sibilo di 30 secondi, il canto del cigno di una personalità artistica unica nel suo genere che tanto ancora avrebbe saputo dare alla musica di fine secolo se solo avesse vissuto fino ai giorni nostri. Per me IL capolavoro (o comunque una delle sue opere più mature e complesse mai uscite dalla penna del nostro).

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