Il bello di certe persone è che non si finisce mai di conoscerle.
L'ho incontrato anni fa, per caso, ma mi era sempre rimasto un po' indifferente: non dico antipatico eh, nemmeno simpatico però. Lo sguardo buono ma sfuggevole, il sorriso timidamente appena abbozzato quando ci incrociavamo, il suo fare un po' solitario che lo portava a rifuggire i gruppi numerosi. Che poi la cosa bella era che, tutte le volte che ci parlavo venivano fuori sempre conversazioni interessanti, segno che cose da dire e idee da condividere ne aveva, le teneva per sé forse. Al tempo pensavo che mai e poi mai avrei voluto scambiarmi con lui, mi era sempre apparso un po' solo e infelice, il mio esatto opposto in quel momento. Poi come spesso succede si cresce anche quando si pensa di essere già maturi, la vita ci cambia in modi non comprensibili, ci adattiamo al flusso degli eventi, ci pieghiamo per sopravvivere anche, ci trasformiamo. Ed ecco che, dopo anni che non ci vedevamo, l'ho incontrato nuovamente, ed è stato come guardarsi allo specchio: di colpo io ero come lui, ci siamo salutati con lo stesso identico sorriso timido e abbozzato, ci siamo scambiati due parole di circostanza, eppoi discorso dopo discorso è passata un'ora senza che nemmeno me ne rendessi conto. Il cielo grigio e monotono di una fredda giornata di metà dicembre si sposava perfettamente con il freddo pungente di un vento che sembrava portarsi la neve di lì a poco: appoggiati ad un muricciolo abbiamo ripercorso tutti gli anni durante i quali ci eravamo persi. Abbiamo parlato di come siamo chiusi in noi stessi, di come abbiamo costruito una fortezza nella quale abbiamo incluso solo alcune persone scelte, lasciando fuori tutte le altre, alle quali timidamente sorridiamo, per poi passare oltre. Abbiamo parlato di qualche acciacco che ci sta martoriando ma che non ci ha ancora bloccato dal fare quello che ci piace e che ci regala gioia, pace e libertà; ci siamo confessati la lacrima facile che abbiamo sviluppato nel vedere certi film che una volta avremmo rifuggito come la peste (quanti pianti su "Il favoloso mondo di Amélie"!); ci siamo confessati che a volte ci sentiamo soli, che proviamo nostalgia. Ma è una nostalgia strana, è sia di cose già vissute che di cose che non abbiamo vissuto affatto, ma che ci mancano in qualche modo. Non ci siamo definiti infelici eh, solo, ecco, tremendamente nostalgici e malinconici: ma non siamo riusciti a capire se sia un male o un bene, in fondo per adesso stiamo bene così.
Ci siamo salutati, promettendoci di non perderci di nuovo, poi ognuno per la sua strada: a un certo punto mi sono voltato per vedere dove stesse andando, ma era sparito nel nulla, volatilizzato, come se non fosse mai esistito. Mi sono detto che forse è normale per lui, sparire così senza che nessuno se ne accorga, ma sono comunque convinto che ci rincontreremo presto.
Vengono da La Spezia i Morose, e non sono poi una novità per me, avendo avuto modo di apprezzare e amare a suo tempo "On the Back of Each Day", il successore del qui presente "People have ceased to ask me about You". Proprio con questo album i Nostri sviluppano quel genere tutto loro che poi sarà riproposto anche successivamente, un mix di cantautorato, folk apocalittico à la Black Heart Procession, minimalismo di reminiscenze Nick Drake, post rock e slowcore. Se ne ottiene un disco tardo invernale, riflessivo, malinconico ma non triste: per qualcuno sarà magari spallamento e nenia-rock, ma sono convinto che in certi momenti, o in giornate fredde e nuvolose di fine autunno, un disco del genere può essere un valido specchio per fermarci e riflettere un po' su noi stessi. Con un timido sorriso.

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