Dopo un sola e tutt'altro che lusinghiera pubblicazione ('Erase Me', Fearless Records, 2018) nei 5 anni trascorsi a seguito del ritorno sulle scene, é giunto il momento per gli Underøath di ampliare il catalogo di una carriera oramai prossima al 25ennale.
'Voyeurist' vede la band rileggere e comprendere i propri dischi più riusciti, carpendo qualcosa da ciascuno per riproporsi attraverso uno dei suoi lavori più avvincenti e completi mai scritti fino ad oggi.
Aggressivo, familiare ma allo stesso tempo estraneo; una potente miscela che é tipicamente Underøath ma anche un'inedita proiezione delle visioni artistiche del combo di Tampa. Un album teso, dinamico, strano, "voyeurista".
Ascoltare 'Hallelujah' per credere: nemmeno il tempo del "pronti, via" ed é il riflessivo auto-attacco che la band assesta al proprio passato religioso, agli individui ed alle istituzioni (che chiedono alle persone di guardare in alto ma mai dentro di sé), insieme al modo in cui il vocalist Spencer Chamberlain interrompe bruscamente il mantra del coro, a fungere da highlight per un post-hardcore caotico e rumoroso. Così bene da imprimerne il DNA incisivo e pesante di 'Disambiguation'.
Come in un gioco di ripetizione degli schemi, le chitarre angolari innalzano mura impenetrabili attorno agli effetti della tastiera e dei suoi glitch distorti, offrendo loro un posto sicuro nel quale poter rigogliare come oscuri ornamenti ai cupi arrangiamenti metalcore.
Anche questa é una novità, perché sebbene il synth di Chris Dudley sia parte integrante della line-up da lungo tempo, quí il suo lavoro lo pone sugli scudi come elemento chiave per le composizioni della band.
Una dimostrazione di proporzioni enciclopediche di integrazione fra rock strumentale e suoni di sintesi da far piovere sulle controparti mainstream.
Una dinamica, questa, nella quale gli Underøath eccellono da sempre, fatta di leggera orecchiabilità e pesantezza oscura, implementata da una chimica vocale tra Chamberlain e Gillespie rinvigorita e più solida che mai, mentre una produzione asciutta e sbiadita sullo sfondo aiuta a cementare il tutto.
Gli Underøath ci ammoniscono per essere tutti guardoni che scrutano nelle vite degli altri. A volte indirettamente, a volte in maniera consensuale, altre volte meno.
Così come le persone che faranno a pezzi questo album, ci ammoniranno ed interverranno con nozioni preconcette su come dovrebbe suonare un nuovo album degli Underøath, un nuovo album post-hardcore in generale.
Eppure più a lungo si osserva questo disco, più duramente lui fissa noi.
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