Slipknot e poi Prodigy, ovvero circa tre ore di pogo, dance e quintali di polvere inalata (signori del Flippaut, trovate un rimedio please). Il pubblico stremato si allontana dal palco per rifare il pieno di birra e fumo, io invece vado controcorrente, quando entreranno Chris e la band dovrò essere ai loro piedi.

Eccoli, Chris in canotta bianca, Tom con l’immancabile cappellino e lo strumento in posizione meno ascellare di quanto ricordassi. “Your time has come” apre una scaletta che è un concentrato di potenza, un vero e proprio terremoto provocato da Tim e Brad e sublimato dagli assoli di Morello e dall’estensione vocale di Cornell, e a proposito della sua ugola segnalo una “Shadow on the sun” da brividi con meritata ovazione finale.
Si sapeva però da settimane che ci sarebbero state delle graditissime sorprese per i fan di Soundgarden e RATM, e infatti non tarda ad arrivare la mitica “Spoonman”, mentre i tiratissimi pezzi dei RATM, annunciati da Chris in un inglese molto ermetico (Corey degli Slipknot scandiva meglio le parole quando parlava al pubblico), fanno letteralmente esplodere la folla. Inutile chiedersi quale pezzo dei Rage abbia spaccato di più, ogni volta cambio idea, ma le cose che mi rimarranno impresse sono le migliaia di pugni chiusi (su invito di Tom) durante le prime note di “Killing in the name”, la forza devastante di “Sleep now in the fire”, “Bulls on parade” e il rappato interattivo tra Chris e la gente, come a voler fare un tributo alla grandezza di questi pezzi.
L’unica canzone “da accendino” è una chicca che in realtà non nasce come pezzo tranquillo: Cornell solo sul palco con l’acustica ci regala “Black hole sun”.
Ma non c’è più spazio per la quiete, il riff di “Cochise” infatti rigenera il delirio completo e chiude una gran serata.

Carico i commenti...  con calma