Se il jazz è nato dal melting pot creatosi agli inizi del novecento negli Stati Uniti d'America, non dovrebbe stupire più di tanto che, in tempi di "villaggio globale", questo crogiolo eternamente ribollente si arricchisca di stimoli e suggestioni provenienti dalle più remote parti del mondo, inclusa la piccola repubblica ex-sovietica dell'Azerbaijan.

La pianista e cantante Aziza Mustafa Zadeh è doppiamente figlia d'arte. Suo padre è il grande Vagif Mustafa Zadeh, uno dei pianisti più seminali ed innovativi provenienti dall'allora URSS, prematuramente scomparso all'età di quarant'anni, fautore di una fusione tra jazz e mugam, la musica tradizionale azera. Sua madre Eliza è una cantante classica proveniente dalla vicina Georgia. Con una tale familiarità, la giovane Aziza non aveva davvero che l'imbarazzo delle scelta, su quale strada artistica percorrere per arrivare al successo. Si interessò di pittura e danza , ma risultò presto che l'eccellenza l'avrebbe raggiunta nella musica, tanto è vero che nel 1986, a soli diciassette anni, vinse il prestigioso premio "Thelonius Monk" a Washington, prima tappa di una fortunatissima carriera internazionale.

Questo "Always", secondo disco della pianista, uscito nel 1993, vincitore del Phono Academy Prize in Germania e del premio Echo Prize della Sony, si divide tra performance solistiche ed in trio, accompagnata da quella che all'epoca era l'ossatura ritmica delle band di Chick Corea: il batterista Dave Weckl e il bassista John Patitucci. E se Corea (assieme a Jarrett) è l'influenza più riconoscibile sul versante più schiettamente jazzistico, è altresì vero che la grande preparazione e cultura musicale della nostra attinge anche al mondo classico, da Chopin a Rachmaninoff. La Zadeh esibisce un pianismo sontuoso, lussureggiante, con la mano sinistra, mobilissima, a scatenare dei piccoli terremoti ritmici. Le sue composizioni, frutto di raffinate, complesse stratificazioni tematiche, alle orecchie degli occidentali richiamano inevitabilmente l'esotismo ed il mistero evocati da tanta musica romantica di ispirazione orientaleggiante. Con la differenza che qui siamo di fronte all'originale...

Inoltre, la nostra è una cantante di impostazione lirica, dotata di notevole estensione vocale, con una particolare predilezione per le incursioni nei sovracuti. Sembra impossibile da una donna tanto eterea sgorghi un simile torrente di energia musicale: per questo motivo Aziza andrebbe apprezzata specialmente dal vivo, anche perché - ricordo che il vostro umile recensore è un pur sempre un uomo - è di una bellezza e di un fascino da togliere il fiato.

A dire il vero, pur riconoscendo la straordinaria duttilità vocale della pianista azera, mi sembra che i brani cantati siano i meno riusciti. Sia quando canta dei veri e propri testi nella sua lingua madre, che quando si esibisce in una specie di "scat mediorientale", l'impressione è che indugi in una sorta di virtuosismo fine a se stesso... Ma si tratta comunque di peccati veniali, abbondantemente ripagati dai numerosi momenti in cui le sue dita sulla tastiera fanno miracoli. Brani come "Vagif" (dedicata al padre), "Heartbeat", "Kaukas Mountains", sono ricchi di torride improvvisazioni, che non si fanno dimenticare facilmente.

In seguito, la Zadeh ha pubblicato diversi altri lavori, tutti interessanti, che vedono la partecipazione di musicisti fusion quali Al di Meola e Stanley Clarke ("Dance of Fire"), o in completa solitudine, come "Seventh Truth", che ha scatenato un mezzo scandalo nel suo paese d'origine per via di un suo casto nudo in copertina. Musicista da scoprire.

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