Il quarto album della Cattiva Compagnia uscì nel 1977 in pieno boom della disco e del punk e con una copertina non certo epocale: un controluce sgranato del quartetto con in primo piano il cantante Paul Rodgers cinto da inguardabili vestaglia e bandana giapponesi.

Il lavoro resta nella (buonissima) media qualitativa del gruppo... Di brani veramente notevoli ve ne sono un paio o forse tre ma più in generale si apprezza il loro abituale modo di creare ritmo e melodia con pochissimi ingredienti: un riff di là, un colpo di chitarra slide di qua, qualche accordo di pianoforte sopra, un groove di basso sotto e via così. L'eccezionale pasta vocale e la splendida attitudine blues del qui malvestito frontman d'altronde riuscirebbero a dare dignità rock anche ad un eventuale cover degli Abba. E poi c'è sempre la chitarra di Mick Ralphs ad insegnare a tutti come procedere con poche ma chiare idee, inserendo senza paura ampie sincopi fra gli accordi e facendo così respirare le canzoni e gustare ancor meglio le pregevoli sfumature di voce del suo cantante. La metronomica e potente batteria di Simon Kirke ed il semplice, ma intelligente basso del povero Boz Burrell (ci ha lasciato nel 2006) chiudono il cerchio.

Il disco comincia alla grande con la canzone che intitola tutto il lavoro, caratterizzata da un  penetrante up-tempo di Kirke, il quale ciclicamente anticipa in levare il colpo di rullo ad ogni secondo quarto di battuta. Rodgers prende a descrivervi apocalittiche visioni ispirategli da un sogno, ma è curioso che per una rappresentazione visiva del tutto sia stata scelta un'immagine  (all'interno della copertina) del Catinaccio, uno dei più spettacolari ed aspri gruppi dolomitici, con le mirabili Torri del Vajolet in primo piano così come appaiono dal Passo Santner, però con l'azzurro del cielo virato in rosso "bruciante".

Il preludio di "Burning Sky" e di tutto l'album è un classicissimo tuono, mentre il secondo episodio "Morning Sun" è aperto da un altrettanto classica campana... siamo sullo scontato andante ma non lo è certo l'ugola di Rodgers, che qui si appoggia bravamente ad un insistito arpeggio di chitarra bagnato dal flanger, effetto in quegli anni estremamente di moda. Il tutto è curiosamente illeggiadrito da un flauto nelle mani dell'ospite Mel Collins, amico del bassista Boz data la precedente comune militanza nei King Crimson.

"Leaving You" è un corposo rock blues in stile Free (gruppo di provenienza sia di Rodgers che di Kirke), vale a dire economo alla massima potenza: pochi accordi di chitarra e poi ci pensa il cantante a riscaldare gli animi e dare dignità al pezzo. L'ottimo Ralphs si concede il primo  assolo, alla sua tipica velocità massima di dieci note al minuto ma nell'occasione pare focalizzarsi proprio sullo stile del povero Paul Kossoff dei Free (morto l'anno prima), costui il vero ed insuperabile satanasso in tema di uscite di chitarra solista a una nota per volta, rigorosamente vibrata allo spasimo.

"Like Water" è una ballata blues ancestrale e manierosa, priva di strofe col solo ritornello che gira ciclicamente, con unica variante rappresentata da un delizioso e mellifluo solo di slide guitar alla maniera di George Harrison, mente la successiva "Knapsack" è solo un intermezzo, un coro da ubriachi sicuramente organizzato lì per lì in studio dopo abbondante assunzione di sostanze atte al sollazzo.

"Everything I Need" ruba gli accordi paro paro a "Sweet Jane" dei Velvet Underground, Rodgers però la diversifica con un cantato in stile rhythm&blues, spinto ai limiti estremi della sua (non eclatante) estensione vocale. Il testo è particolarmente insignificante e così pure le liriche della successiva "Heartbeat", peraltro decisa e dardeggiante nel suo ruolo di pezzo rock di riempimento.

"Peace Of Mind" è composta e... presentata dal batterista Kirke, che vi recita le prime parole di testo. E' una ballata di modesta ispirazione e Ralphs fa sapere che è d'accordo con me, infatti ci vivacchia distrattamente inserendo qualche lick poco pregnante di chitarra semi clean. Anche la successiva, pianistica "Passing Time" non è cosa, un po' sgarbata e pure missata male... E' una situazione che definirei classica: i riempitivi negli album vengono messi a tre quarti della scaletta, dopo aver sparato le cartucce migliori all'inizio, e prima del gran finale con uno o due brani davvero degni, tanto per lasciare buon ricordo e voglia di riascolto.

Ed eccolo il gran finale: prima "Too Bad", un roccaccione sudato e peso, con un riff blues da manuale, molto riproposta nel corso della carriera concertistica dei nostri (e saltuariamente pure con qualche ospite ad eseguirvi assoli... visti nell'occasione Neil Schon e Slash, ad esempio). Ancor meglio è la penultima "Man Needs A Woman": parole e melodia del ritornello sono quelle giuste e la voce di Rodgers qui è sonora più di una sirena d'allarme! E' un rock'n'roll irresistibile che neanche Collins riesce a rovinare con qualche incerto scoreggione di sax contralto, per fortuna seguito da un buon solo di tenore, strumento con il quale si trova decisamente più a suo agio.

La chiusura "Master Of Ceremony" è strascicata, etilica e sperimentale tra nastri al contrario, un Rodgers incredibilmente lascivo e cantilenante intanto che si procede interminabilmente, con un organo (probabilmente nelle mani dello stesso cantante) a tenere insieme il tutto; ancora una volta Mick Ralphs, un tizio tutto razionalità e rigore, non si diverte per niente e butta lì quattro note in croce... Del resto se n'era scappato anni prima dai Mott The Hoople proprio perchè non reggeva glam, lustrini, droghe varie, casino e autoindulgenza.

Un disco di vecchio rock blues settantiano, semplice semplice ma reso superbo dalla grandiosa attitudine degli interpreti, tutti e quattro indistintamente, o quasi (di Rodgers ce n'è uno solo al mondo, dio lo abbia in gloria). 

Carico i commenti... con calma