Il mio album prediletto della Cattiva Compagnia è questo quinto della loro carriera, uscito nel 1979 con il titolo prelevato direttamente da un racconto di Jack Kerouac. Con gli ottanta alle porte, la new wave ed il viziaccio dei sintetizzatori dappertutto, il gruppo riesce bravamente ad introdurre alcuni elementi (allora) freschi e attuali nella sua musica, proverbialmente asciutta e diretta, mantenendoli però al contorno e non consentendo loro di stravolgere il fulcro del suono, saldamente in mano alle sinergie fra chitarra basso e batteria.

La voce passionale e strepitosa di Paul Rodgers provvede poi a non dare adito a dubbi in merito al genere proposto: sano e solido british rock (seppur con voglie americaneggianti, sostenute dal grande seguito conquistato in quel paese), e della miglior specie. L'album gode di una spettacolare apertura grazie al riffone ciclopico, composto ed eseguito da Rodgers inserendo un effetto 'pluriottave' tra la sua Gibson e l'amplificatore, che funge da tonante prologo alla trascinante, perfetta "Rock'n'Roll Fantasy". Il vocione del frontman, caldo e mobilissimo, pieno di sfumature blues e di sensuale carica, nobilita il robusto pedale ritmico dei compagni sul quale risplende l'arguzia ritmica del chitarrista Mick Ralphs, uno che suona poche cose e tutte troppo giuste, sempre e comunque. Altro pezzo di grande impatto è "Gone Gone Gone", composta dal rimpianto (un attacco di cuore se l'è portato via due anni fa) bassista Boz Burrell. Originali le vicissitudini di carriera del bravo Boz, un cantante (!) rock che negli anni sessanta stava addirittura per sostituire Roger Daltrey negli Who, per poi entrare a sorpresa nei King Crimson (ai tempi di "Islands"). A quel punto il leader Robert Fripp gli cambiò la carriera visto che, fiducioso della sua musicalità e soprattutto messo alle strette da pressanti impegni concertistici, gli insegnò di punto in bianco a suonare il basso! L'ingaggio nella Bad Company se lo era guadagnato quindi come bassista e non certo come cantante, non potendo competere con uno come Rodgers al microfono. Infatti anche qui il sublime vocalist ci mette niente a fare suo il brano con una prestazione tremenda, piena di grinta e liricità. Boz si consola firmando anche una seconda chicca dell'album, la scuoti chiappe "Rhythm Machine" e qui si sente lontano un miglio che è farina del suo sacco, il basso pedala vigoroso e si inerpica nei cambi di tonalità, restando al centro della scena e tenendo le (deliziose) chitarre a debita distanza, mentre il buon Simon Kirke, roccioso ed essenziale batterista, si diverte con teneri, sporadici interventi su tom elettronici, indelebile timbro di un'epoca.

Le americanate di cui si accennava all'inizio si chiamano "Crazy Circles", ovvero il country rock fatto da un gruppo britannico, e "Oh Atlanta", autentico omaggio ai Little Feat, un gruppo yankee sulla cresta dell'onda all'epoca e con un grande chitarrista, il povero Lowell George, che godeva dell'ammirazione incondizionata di moltissimi colleghi, non ultimo l'ottimo Mick Ralphs che ovviamente firma il pezzo. Quel poco di elettronica ed i diffusi americanismi riescono a snellire e rendere più solare l'abituale asciuttezza britannica del gruppo, a mio parere donando a questo lavoro una maggiore luce rispetto ai tirati e animosi rockblues ed alle accorate ballate pianistiche con i quali la formazione era solita avere a che fare. Anche la copertina, molto più ruffiana e patinata della musica che effettivamente contiene, contribuisce alfine a solarizzare la proposta musicale, tenendola ben lontana dal grigio della vecchia Londra. Tutto il rock 'robusto' doveva al tempo fare i conti con forti tendenze verso suoni rotondi ed effettati, pieni di flanger e di chorus, la Bad Company vi si adegua senza però perdere di vista la grinta, la carica blues, l'essenzialità che hanno fatto di questa formazione un punto di riferimento ancor oggi importante per tutto il rock fatto sul serio, senza né paraculaggine né purismi snobistici e ghettizzanti.

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