Anche fosse solo per la splendida cover, questo album è ben degno di essere piazzato in una qualsivoglia discoteca rock. Lo stile immaginifico dell’autore di copertine per antonomasia Roger Dean, per una volta, tralascia di tratteggiare strane astronavi alate, poderosi animali robotizzati e corazzati, isole sospese nell’aria e fiumi che scendono nel nulla, per appoggiarsi semplicemente al nome del gruppo (Tasso) e disegnare un affusolato, ma zero fantascientifico, paesaggio invernale, con in primo piano il protagonista mustelide, di guardia alla sua tana. Trattasi in ogni caso di un ottimo disco pure nei contenuti, anche se per certo non epocali.
La rivoluzione di organico avvenuta nel 1970 in seno agli Yes, storica formazione progressiva al tempo con già due dischi a carico ma ancor lontana dal successo, portò alla nascita di due nuovi gruppi: il chitarrista Peter Banks, allontanato per fare posto a Steve Howe, diede vita agli eccellenti Flash, che durarono tre (imperdibili) dischi fino al 1974. L’altro reietto Tony Kaye, cacciato per far posto a Rick Wakeman, mise insieme a sua volta, poco dopo, questo quartetto del Tasso. Che durò ancor meno dei Flash: ovvero l’opera presente, un curioso esordio dal vivo al Raimbow di Londra (1973), seguita qualche tempo dopo da un altro, stavolta soprassedibile lavoro, però con formazione diversa e genere diverso cioè pop rhythm&blues.
Qui il genere è un rock blues moderato venato di progressive (le tastiere di Kaye, ogni tanto a far giochetti all’unisono con la chitarra) e di soul (le melodie e la voce del chitarrista Brian Parrish, un po’ somigliante a quella di Steve Winwood, meno “chiara” ma lo stile è quello). Il quartetto è completato dal bassista e corista David Foster, un amico del cantante degli Yes Jon Anderson che qui produce, e dal solido batterista Roy Dyke. Il disco scorre che è un piacere perché il contenuto melodico armonico ritmico è tutt’altro che memorabile, ma i Badger lo suonano benissimo! Con la giusta passione e precisione.
Solo sei brani compongono l’album, dilatati dalle generose improvvisazioni di Parrish alla chitarra, per certo non particolarmente peculiari ma estremamente professionali. Il mio preferito è il quarto in scaletta “River”, nel quale l’interazione fra l’organo di Kaye e la chitarra solista di Brian raggiunge il massimo livello; il ritornello è molto orecchiabile, l’orchestrazione misurata e ben in tiro, tutto rotola per il verso giusto, non ci si stupisce di niente ma si gode assai l’ascolto nel suo insieme.
Niente di sconvolgente i Badger, ma buon rock di inizio anni settanta, fluido e piacevole.
P.S.: Tony Kaye è poi riuscito a rientrare negli Yes, registrando con loro diversi dischi più o meno riusciti negli anni ottanta e novanta. Banks invece no, e quegli strunzi dei suoi ex compagni non sono andati neanche al suo funerale, nel 2013. Lui era un grande, ma proprio tanto, e meritava lui di avere quel successo e quel benessere che invece sono toccati al bravo, ma ordinario Kaye.
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