Omaggio a un'antica civiltà, "Maya" esce nel 1994 ed è il primo lavoro compiuto di Banco de Gaia. Quelli precedenti portano infatti il segno della clandestinità: tre album diffusi su nastro e presto ritirati dalla circolazione per l'uso selvaggio di campionamenti per i quali non erano stati pagati i diritti; e un EP, "Desert Wind", prima vera uscita discografica nel 1993 per l'indipendente Planet Dog Records.

Dietro il fantasioso nome Banco de Gaia si nasconde non un gruppo di più elementi, ma il solitario musicista britannico Toby Marks, uno dei più originali rappresentanti dell'evoluzione che l'elettronica ha avuto negli anni '90. Uno stile molto personale, il suo (tra l'ambient dub e il chill out, per gli amanti delle categorie), che immette in dosi massicce campionamenti di musica araba o mediorientale su uno sfondo elettronico molto ritmato in cui spiccano le linee melodiche delle tastiere. E, costante, un esotismo di fondo nella scelta dei temi e dei titoli.

Prendiamo ad esempio "Gamelah", quarta delle nove tracce di cui si compone questo disco (72 minuti la durata complessiva): qui gli estratti vocali sono presi da "Musica rituale di Bali", pubblicato dall'Istituto di Musicologia dell'Università di Basilea. È spesso così nella musica di Banco de Gaia: laddove la voce umana è presente, essa è trattata come fatto acustico, privata delle sue connotazioni di significato, eppure carica di un retroterra fatto di rimandi culturali ed emozionali.

Nel brano di apertura, "Heliopolis", è la voce di Lisa Gerrard dei Dead Can Dance a essere campionata ma il contesto, questa volta, è tra la trance e la dance, non essendo questa una musica di difficile ascolto. In alcuni momenti molto densa, sì, ma Banco de Gaia mantiene sempre una cifra stilistica che ha come obiettivo la piacevolezza del suono, e Toby Marks non vuole aggredire l'ascoltatore ma piuttosto sedurlo, come si conviene alla sua elettronica dal volto umano.

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