Apparentemente, i Barclay James Harvest (BJH da qui in poi per comodità) hanno cucinato un bel minestrone: rock, psichedelia e folk elettrico immersi spesso e volentieri nelle arie sinfoniche e nella musica classica. Se così è, bisogna dire che la ricetta ha funzionato alquanto bene; il fatto è che i BJH sono riusciti a trovare un equilibrio compositivo e un'originalità stilistica che, bene o male, non li hanno mai abbandonati. Una band piuttosto anonima, nata nel 1968 e sviluppatasi nel progetto orchestrale "The Barclay James Harvest Orchestra", i cui componenti sono personaggi capelloni e talentuosi con la passione per gli arrangiamenti altisonanti e la maestosità dei pieni orchestrali. John Lees alla chitarra, Stuart Wolstenholme alle tastiere, Mel Pritchard (+ 2004) alla batteria e Les Holroyd al basso sono gli artefici di questa commistione alchemica, uno dei frutti più nascosti e succosi del prog inglese. Il gruppo non ha un cantante di ruolo, ma le semplici ed emozionanti voci dei musicisti stessi.
La loro opera prima, datata 1970 e self titolata, è un disco molto interessante, che vede il gruppo lavorare a strettissimo contatto con un'orchestra in piena regola, diretta da Robert Godfrey. Un lavoro sperimentale che va scoperto pian piano, a partire già dalla bellissima copertina, che pare ispirata alle vetrate della cattedrale di Chartres. L'album si apre con un bel folk-rock psichedelico, Taking Some Time On, che vede tra l'altro il supporto chitarristico di un nonno del progressive, ovvero James Litherland dei Colosseum. Le chitarre acide e stridenti, suonate benissimo da Lees, diventeranno ben presto un marchio di fabbrica del gruppo, così come lo saranno le tenere e suggestive ballate dai toni gotici e pastorali, proprio come la successiva Mother Dear, intenso racconto sorretto da arpeggi di chitarra, organo e un sobrio ed elegante arrangiamento d'archi. Segue il primo esempio del tipico stile BJH: The Sun Will Never Shine, un poderoso pezzo che si regge su una solida struttura di basso; i cori e l'ottima chitarra psichedelica, supportata dal mellotron, creano un'atmosfera intensa, drammatica ed elegante, che riaffiorerà spesso nel proseguire della produzione e sulla quale la band si trova particolarmente a proprio agio.
Non si può negare che a volte, specie in tempo di avanguardie, le buone intenzioni non significano automaticamente buoni risultati; è il caso di When The World Was Woken, che rappresenta un tipico caso di perdita della misura. Il brano è una sorta di blues dai toni amari che però ricorda molto da vicino A Wither Shade Of Pale, con l'aggiunta invadente di un arrangiamento orchestrale ben prodotto ma sicuramente eccessivo e anche poco coerente con l'impostazione vocale, anche se il pezzo, dopo qualche ascolto, non manca di affascinare. I BJH stemperano i toni con la successiva e divertente Good Love Child, un rock psichedelico abbastanza nella norma, mentre ritornano ad atmosfere a loro più congeniali con The Iron Maiden, una splendida ballata caratterizzata da un'ottima linea di basso, toni gotici e bei cori.
L'album si chiude con un vero e proprio capolavoro, uno dei migliori pezzi dei BJH nonché del primo progressive in genere. Dark Now My Sky è una sinfonia da 12 minuti dove rock e orchestra di fondono mirabilmente per dar vita a un unicum di straordinaria intensità. Si inizia con un recitativo schizoide, ispirato ai monologhi shakespiriani del "Macbeth" che introduce un inquietante crescendo con archi e ottoni. L'esplosione avviene con l'ingresso di una superlativa chitarra corrosiva che tira, urla e scava lungo tutto il pezzo mentre pianoforte, basso e batteria cavalcanti fanno da sfondo. Momenti drammatici, epici, inquietanti e struggenti si alternano magicamente, e questa volta l'arrangiamento orchestrale, curato da Robert Godfrey, si dimostra equilibrato e ben integrato: siamo in pieno territorio progressivo, e con Dark Now My Sky i BJH entrano a pieno diritto tra i forgiatori del genere. Se il brano ricorda alla lontana cose precedenti, come la sezione finale di In Held ‘Twas In I dei Procol Harum, è vero anche che prefigura già una strada sulla quale si avventureranno anche musicisti molto più celebri, come i Pink Floyd di Atom Heart Mother.
Con un toccante finale di cori e un crescendo di mellotron l'album si chiude. A noi resta l'ammirazione per il misconosciuto (e ben poco apprezzato dal pubblico) impegno di musicisti seri e veramente amanti della musica, che nel loro piccolo hanno saputo produrre un disco dal suono ottimo e dalle idee più che interessanti. Un album fondamentale per comprendere l'evoluzione del progressive ma anche l'inizio di un'interpretazione nuova, intrigante e sincera, del genere; quella dei Barclay James Harvest.
Elenco e tracce
Carico i commenti... con calma