C'è chi tra un disco e l'altro di rilassa prendendo il sole in terrazza, Steven Wilson invece pensa bene di comporre altri dischi. La sua libreria sembra ormai sconfinata, tra i lavori registrati per i suoi Procupine Tree e quelli firmati come solista, si aggiungono anche i (non pochi, vedo) album con moniker Bass Communion, un side project dark ambient-drone che ho deciso di scoprire con Cenotaph, release del 2011, l'ultima uscita. Cenotaph è un esperimento elettronico che abbandona tutti i sofisticati edifici sonori del musicista inglese per abbracciare un minimalismo funereo, splendidamente sintetizzato dal titolo e la copertina, un cimitero sensoriale con reminiscenze arcane, forse paranormali. L'album è composto da quattro movimenti infiniti, praticamente durano 20 minuti l'uno, che condividono molti elementi, incluso un rumore di fondo perenne, diversi layer e un beat offuscato e immutabile (è presente per quasi tutto l'album). Il tutto si ripete sostanzialmente all'infinito, privando l'ascoltatore di qualsiasi riferimento e struttura e lasciandolo nel vano tentativo di sintonizzarsi con una stazione radio ultraterrena, più o meno l'effetto sembra quello.

Di conseguenza non è facilissimo elaborare una recensione valutando i sinboli elementi, tutto è parte dello stesso componente, con variazioni davvero minime. Citadel è forse la parte più minacciosa e macabra, ma anche esasperante nella sua semplicità. L'intero pesso è dominato da un beat in quartina talmente filtrato da perdere qualsiasi valenza di sostegno ritmico, cori spettrali, suoni di ingranaggi e un synth dai toni apocalittici. Allestire venti minuti di ambient con elementi ridotti all'osso ed estremamente ripetitivi significa sfidare le proprie possibilità ai limiti, non è facile neanche per grandi talenti riuscire a mantenere l'interesse dell'ascoltatore. Il mixing non è banale e richiede necessariamente l'utilizzo delle cuffie, non ha davvero senso ascoltare composizioni come queste alle casse, si vanno a perdere dettagli importanti e il tutto si riduce a musica - chiamiamola così - di sottofondo. Carrion è il perfetto sequel di quanto appena ascoltato: ritornano gli stessi elementi con variazioni minime, al posto dei cori si affacciano alcune note di strumenti (chitarra e xilofono?) che sembrano infondere um minimo di vita nella fredda architettura tombale, ma anche questi sono strozzati, talmente deformati da perdere qualsiasi parvenza di umanità. Come da copione le note si ripetono all'infinito in questo mantra crepuscolare. La title track abbandona le percussioni (finalmente) per lasciare pieno spazio ai synth, qui si intravede finalmente un accenno di progressione, specie nella seconda parte, mentre Conflux è forse il brano con la maggiore componente melodica, che chiude un disco dai toni della pece con uno spiraglio di luce. Ritorna la stessa linea di beat e altri elementi ricorrenti, incluso l'onnipresente rumore di fondo, sample suonati al contrario e altre suggestive amenità.

Non sono sicuro che Cenotaph sia il punto di partenza migliore per iniziare a esplorare il catalogo di Bass Communion, ma rinnovo i complimenti a Steven Wilson per aver trovato un'ulteriore valvola di sfogo al suo talento creativo. Si tratta di un disco abbastanza pesante da digerire, esageratamente lungo e che va valutato a livello di esperienza globale, più che soffermarsi sulle singole parti. Chi ama il genere drone-dark ambient dovrebbe dargli una possibilità, ma non sono convintissimo dell'esecuzione, la sensazione di trovarsi davanti a quattro esasperanti e giganteschi loop è forte. Forse alla fine quella di Cenotaph non è un'operazione da prendere troppo sul serio, considerando che Wilson ha allestito (mi sembra il termine appropriato) il tutto parallelamente alla produzione di Grace for Drowning, e che ha usato questo disco come apertura per i suoi concerti. Una musica minore con ruolo principalmente funzionale quindi, ma comunque a suo modo evocativa e non priva di un perverso fascino.

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