Alla mia destra, un uomo distinto, sui cinquanta, insieme alla moglie emozionata. Davanti a me, un giovanotto dai lunghi capelli ricci, scalmanato, quasi fastidioso. Intorno, diverse ragazze ma anche molti adulti. Un paio di metri in là, un personaggio all'apparenza cafone, con orecchini appariscenti e sorriso accarezzato dalla droga. Che poi durante il concerto s'è ammansito in un bozzolo di introspezione, concentrandosi sulle parole delle canzoni e dimenticando lo sballo da concerto.

Il cuore dell'evento, il brano più bello in assoluto della band ma anche uno dei più difficili, è stato accolto calorosamente, intonato dagli spettatori quasi come le hit più radiofoniche. Un pubblico variegato e intelligente, che ha cantato a squarciagola diversi pezzi senza per questo oscurare Bianconi o Rachele. La serata all'Alcatraz di domenica ha dato insomma un duplice responso, confermando la perizia sempre più pregevole del gruppo dal vivo e mettendo in risalto l'altra metà, non meno importante, di ogni concerto, il pubblico.

Bianconi meravigliosamente freddo, snob, antipatico come è giusto che sia. S'è presentato con una pelliccia che ben omaggia lo stile degli ultimi due dischi. Sorretti da una pletora di musicisti, hanno proposto soprattutto le loro cose più recenti, accentuando il loro lato musicalmente squisito, vorrei dire progressivo, eppure senza intaccare minimamente l'importanza capitale delle loro parole. Ed è questo l'aspetto più confortante: la gente va ai loro concerti soprattutto per le parole, per emozionarsi con le narrazioni decadenti e un po' ciniche, per sfogare una voglia di vivere che ha fatto i conti con il cieco pessimismo ed è sopravvissuta. Risorgendo più forte.

“La vita è tragica, la vita è stupida, però è bellissima, essendo inutile”. I milanesi vogliono sentirselo dire, in perfetta condivisione emotiva con il tenebroso cantante di Montepulciano che evita di parlare troppo, preferendo fare solo qualche commento caustico sull'amore e la violenza che ci fa.

Qualche pezzo dal repertorio più antico, riarrangiato come per un disagio eminentemente musicale nei confronti della loro prima parte di carriera. Alcuni brani ne escono abbastanza male, perché la band non li sente più come un tempo, a livello di scansione ritmica e tessiture sonore. Sono canzoni ben meno raffinate, questo è evidente. E allora un concerto così è la perfetta cartina tornasole per comprendere una volta di più la bella evoluzione di Rachele e compari.

Peccato che si perda il filo del discorso, del macrotesto, alternando i brani e non riproponendo più la sequenza esatta del disco, come avevano invece fatto l'anno scorso. Ma c'è in ogni caso una notevole compattezza tematica, che arriva a sublimazione con “Nessuno”, la parola definitiva sulla vita amorosa: “E dammi figli e oscenità / E tenerezza e dignità / Non ho amato mai nessuno come te”. Domenica a Milano questa canzone gigantesca si è trasfigurata. Luci basse e sintetizzatori algidi per una preghiera laica, di chi non crede “nel cielo e nemmeno all'inferno”.

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