Pop, una parola che a molti fa paura, usata in maniera dispregiativa, quando qualcuno vende l'anima al dio Denaro, oppure quando si buttano nel cesso le chitarre elettriche e l'attitudine indie-noise (quant'è bello essere alternative) per aprirsi a sonorità più melodiche (vedi Marlene Kuntz). Qui in De-Baser voglio ridare immagine ad un termine usato a sproposito. "Pop" se fatto bene, è semplicemente sintesi, intelligenza, capacità di convogliare in un unico brano più generi, più gusti, con l'ambizione di risultare originali ma soprattutto di non essere etichettati in un unico filone, cosa alquanto improponibile in Italia per band indie. Pop significa anche, centralità del testo e della voce, per non nascondersi dietro distorsioni fine a se stessi nel gridare (meeeee e teeeeeee non c'è nienteeeee).

Questo è il punto di partenza per parlare degli straordinari Baustelle, al secolo Francesco Bianconi (voce, chitarra e testi), Fabrizio Massara (synth, tastiere, pianoforte ed effetti), Rachele Bastreghi (voce, synth e chitarra), Claudio Brasini (chitarra), Mirko Cappelli (basso) e Michele Angiolini (batteria). Vengono da Montepulciano (Siena), e frizzanti come il loro Brunello esordiscono sotto la compianta "Baracca & Burattini" con (non sono parole esagerate e banali), uno dei più bei dischi italiani di sempre, quel "Sussidiario illustrato della giovinezza", prodotto dal genio di Amerigo Verardi (Lotus, Virginiana Miller, e ben presto Lova, una grande band pugliese), che si guadagna importanti riconoscimenti (Miglior disco italiano d'esordio per Musica & Dischi, Premio Fuori dal Mucchio organizzato da Il Mucchio Selvaggio) suscitando grande curiosità ed entusiasmo fra ascoltatori e critica per la sua (ri)costruzione di quarant'anni di pop: citando la canzone d'autore francese e italiana, l'elettronica, la new wave, le colonne sonore anni sessanta/settanta, la bossa nova.

Al centro il tema dell'adolescenza, con i testi straordinari di Bianconi, dove una certa originalità linguistica piena di citazioni su tutto il modernariato, accompagnano melodie immediate e affascinanti, come il ricordo estivo turbolento de "Le vacanze dell'ottantre" composta da un intro sintetica alla Bluvertigo, strofa e ritornello alla Battiato de "la voce del padrone", e variazione in pieno stile bossa nova. Relazioni inquiete in "Martina" e "Sadik" (Splendido inserimento di viola nel finale), gli episodi più rock dell'album insieme all' incedere di "La canzone del riformatorio" (ed ora mi manchi te lo giuro, le sogno la notte le tue grida. Le tue coscie bianche stonano sopra le donnine pornografiche appese dagli altri custoditi qui...). Tappeti e atmosfere vintage nella malinconica "Noi bambine non abbiamo scelta". Emotività a mille, nella corsa new-wave di "Gomma", un testo killer cantato su un batti e ribatti vocale di Bianconi con la splendida (nonsolovoce) di Rachele (protagonista solista nella ossessionante "La canzone del parco") immergendoci in una non ortodossa relazione d'amore. Arriva all'ottavo posto, la cinematografica capolavoro del disco "Cinecittà", ambientata durante un ipotetico provino, dove una sensuale produttrice pone domande molto imbarazzanti al povero giovane attore Bianconi che risponde cantando, su uno splendido pianoforte, con una dolcezza ed un pathos quasi pornografico, dove viene omaggiato Morricone, oltre che nel testo, negli splendidi arrangiamenti di Massara.

"Io e te nell'appartamento" e "Il musichiere 999", concludono in piena malinconia e gusto retrò attualizzato (come le canzoni dell'appartamento di Morgan), un'opera d'arte fatta di dieci inni generazionali, canzoni che difficilmente dimenticheremo. Una band, un disco, fuori dal tempo e dalle mode. Un capolavoro assoluto della discografia italiana. Uno sputo in faccia alla volontà di etichettare

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