Il terzo millennio. Tutto quello che dovrà succedere sembra destinato ad essere nuovo, innovativo e rivoluzionario. Certe cose però non cambiano. Certe passioni, certi suoni, restano immutati. Perché eterni. Perché non invecchiano mai, anzi si autogenerano attorno a se stessi e si rinnovano con freschezza mantenendo però intatte le proprie peculiarità. E' della musica del re del blues che stiamo parlando. Sospesa nel tempo ci accompagna così come ha accompagnato le generazioni che ci hanno preceduto.

Nel 2000 B.B. King ha 75 anni (oggi 82) ma nel disco ne dimostra 40. E' sempre energico, ma soprattutto non ha un calo da nessun punto di vista. La voce è quella di una volta, la sua chitarra sembra avere ancora da dire dopo tutte le cose che già ci ha raccontato. Di B.B. King non ci si può stancare e l'uscita di un nuovo album fa piacere a tutti. "Fare l'amore ti fa bene" inizia col bel riff di "I got to leave this woman" che ha anche un assolo molto fluido alla chitarra. Povero B.B. King. Vittima di una malafemmena che l'ha sfruttato fino a quando poteva e poi l'ha trattato come uno straccio. Ora però non ha nessun posto dove andare ed è costretto a stare con lei. Problemi d'amore anche nella seconda traccia. Un blues lento con un bellissimo Hammond in sottofondo. "I know" ha una semplice melodia alla voce, ma cantata da Lui risulta ben diversa dall'interpretazione che chiunque altro potrebbe dargli. All'ascolto dell'introduzione di "Peace of mind" sembra di assistere allo spogliarello di una donna particolarmente sexy. E' molto solare invece "Monday woman". Secondo me la grandezza di B.B. King sta proprio qua. Riesce a fare del blues quello che vuole. Riesce ad essere malinconico, triste, afflitto in certi casi, e poi allegro e felice in altri. Non ha bisogno peraltro di farlo con le parole. Gli basta far risuonare le corde di Lucille per far capire al mondo quello che sta provando.

"Ain't nobady but my baby" è un pò anonima, ma cede presto il posto alla successiva traccia titolo. E' vincente fare di un ritornello così il titolo di un disco, perché, almeno per quello che mi riguarda, al solo nominarlo, mi torna subito in testa questo simpaticissimo motivo. Anche "Don't go no further" è orecchiabile, ma non altrettanto efficiente. E' vero, le canzoni di B.B. King si somigliano un pò tutte, ma i pezzi come "Actions speak louder than words" sono così belli che non se ne ha mai abbastanza. Belli gli abbellimenti dei fiati. Seguono tre brani non particolarmente rilevanti se non fosse per il fatto che "Too good to you baby" è molto ben suonata. Arriva poi "I'm in the wrong business" e c'è una svolta vera e propria. L'accompagnamento di chitarra è in levare in stile un pò funky e la linea vocale è molto particolare e ricca di modulazioni di timbro e dinamica. Pezzo bello davvero. "She's my baby" ricorda molto "Ten long years" (anche nel testo), mentre la chiusura spetta a "It's still called the blues", cantata con voce posata ma comunque un pezzo trainante arricchito da un assolo di tastiera sotto il quale si sentono note di una chitarra di rifinitura che poi prenderà il posto della tastiera per una breve improvvisazione.

Chiusura in bellezza.

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