L'ombra dell'essere "gli Oasis meno Noel Gallagher" li inseguirà fin tanto esisteranno, quello è inevitabile.

La voglia di dimostrare al mondo che si sarebbe potuto vivere anche senza l'apporto del fratellone ha fatto in modo che venisse dato alla luce un disco come "Different Gear, Still Speeding", in parte sorprendente (soprattutto per merito di un autore come Andy Bell, che ha comunque militato in una formazione di grandissimo rispetto come i Ride e che ha in fondo regalato agli Oasis stessi due perle come "Turn Up The Sun" e "Keep The Dream Alive"), in parte forse troppo frenetico ed ingenuo, anche se titolare di una hit di tutto rispetto come "The Roller".

Ora i Beady Eye capitanati da Liam Gallagher arrivano ad un incrocio fondamentale: il secondo disco. Giocattolino in attesa di una (forse, e dico forse, telefonata) mega-reunion, o progetto con radici solide e futuribili? Ancora non è chiaro, ma BE è un signor disco. Messo a fuoco molto meglio dell'esordio, più ispirato, più compatto ma al contempo più "colorato". Merito forse di un produttore come Dave Sitek (frontman dei mai abbastanza elogiati TV On The Radio), che è abbastanza intelligente da calcare la mano in alcuni episodi, come la bella ballad "Soul Love", scritta da Liam e nata come bozzetto acustico alla Songbird, per poi essere trasformata dalle sapienti mani di Sitek in un nebbioso quadretto di rock acustico con Gallagher che sfodera una prestazione vocale bassa e inquietante. Stesso dicasi dell'apertura (e prima traccia promozionale) "Flick Of The Finger" (nata dalla penna di Gem Archer e Liam Gallagher nelle sessioni poi abortite in compagnia dei Death In Vegas nel 2004), con una splendida sessione di fiati a farla da padrona e un buon lavoro di Chris Sharrock alle pelli, in aggiunta ad un campionamento parlato di Kavyan Novak nel finale. Il primo singolo "Second Bite Of The Apple" prosegue più o meno sulla stessa falsariga, con fiati e batteria a dominare la scena e una bella esplosione sonora nel finale.

Non mancano, per dirla alla Liam, le "bangers" nello stile del disco d'esordio, entrambe scritte dal sempre ottimo Andy Bell: "Face The Crowd" è la più aggessiva ed accenderà sicuramente gli imminenti live della band, "I'm Just Saying" invece omaggia spudoratamente gli Oasis più freschi ed irriverenti della Morning Glory era (reminescenze di "Hello", "The Swamp Song" e "Round Are Way"). Liam invece, al solito, preferisce disegnare schizzi acustici intimi e personali: detto di "Soul Love", da segnalare la chiacchieratissima "Don't Brother Me", sorta di ramoscello d'ulivo in musica destinato al fratello, che parte come una nuova "Guess God Thinks I'm Abel" per poi lasciare il campo libero a Sitek che si sfoga nel finale con suoni sghembi e criptici, portando il pezzo ad oltre sette minuti di durata.

Altrove, invece, la voce del frontman è lasciata libera di esprimersi ora accompagnata da una sola chitarra acustica ("Ballroom Figured"), ora da arrangiamenti leggeri e mai invadenti, solo vagamente sporcati dall'ottimo ma garbato rumorismo creato da Sitek ("Soon Come Tomorrow"). Non manca un pezzone britpop come "Iz Rite", praticamente una "(Probably) All In The Mind" (Oasis) parte seconda, e  una "Shine A Light" debitrice sia di "Screamedelica" dei Primal Scream, sia di certe cose più frenetiche scritte da (ops!) Noel Gallagher ("Part Of The Queue, "AKA... Broken Arrow").

C'è anche tempo per una chiusura epica come "Start Anew", che inizia acustica e finisce richiamando alla mente gli splendidi Coldplay del sottovalutatissimo "X&Y". Insomma, il Gallager "minore" sembra pian pianino trovare una strada soddisfacente e tutta sua. Il futuro, invece, rimane una storia comunque tutta da scrivere e scoprire.

Insieme o separati, le premesse sono più che positive.

Pezzo migliore: "I'm Just Saying"

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