I miei occhi molli continuano ad osservare la notte, troppo densa di parole fastidiose come sonagli allucinati nella quiete della notte. Ma inaspettatamente qualcuno mi mette fra le mani questo disco, non posso che sorridere con una punta di malinconia mentre si sciolgono le note di "It Could Have Been A Brilliant Career", ripensando a quante volte mi ha accompagnato. I funamboli imbracciano i loro strumenti e giocano ad oscillare su un invisibile filo, braccati dai notturni lamenti del kosmo, mentre sugli occhi mi scorre un film di cartapesta: sarà il freddo, la stanchezza o forse il vino, ma ho la certezza di sentire le travi della terra scricchiolare e la vitrea pittura del mondo spezzarsi altrove.

Questo sento: un sincera pace, infantile e assoluta. Dondolo sulla falce della luna piegando le gambe dell'immaginazione, i funamboli si inginocchiano nella mia testa e assediano dolcemente la marmellata alcoolica che mi affonda stanotte nel freddo cristallizzato: la voce di Stuart ha incendiato la notte di ingenuità, è un divampare violento di qualcosa che violento non può essere, lo avverto immutabile sulla punta delle dita.

Trattano la musica con delicatezza e con poesia, in certi momenti mi fanno pensare all'indimenticato Nick Drake. The Boy With The Arab Strap è sempre con me, infilato in qualche tasca, in qualche borsa o borsone, ormai è entrato a far parte dei miei stati d'animo, è la "formula" Belle & Sebastian che in queste note gira fino a centrifugare la perfezione, senza eccedere, senza per forza dover fare, dire o dimostrare qualcosa, senza smettere di essere genuini, quasi fosse paradossale la bellezza della loro musica.

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