La nostra Beth è una vera rockeuse, una delle voci femminili più interessanti del panorama contemporaneo del rock-blues americano e questo suo Bang Bang Boom Boom del 2012 è un album maturo e affascinante.

Undici pezzi tutti a sua firma che riprendono i classici temi del blues più intimista, quelli che girano intorno ai tormenti d’amore che non è mai senza pena. Un paio di esempi tanto per citare, “The man is like a drug / Humiliating / And I can’t get enough” nell’iniziale «Baddest Blues» e più avanti “Every time he walks out the door / I wonder if he’s ever coming back / But I can’t help but love” in «Caught Out In The Rain».

Liriche semplici e dirette che si adattano bene ai suoi mezzi vocali e alla sua grinta di interprete. C’è spesso una vena di malinconia, ma non per questo che all’ascolto sia un disco triste o depressivo, anzi la title track – con quel suo ritmico incalzare quasi pugilistico – ci riporta a una divertente schermaglia d’amore (“You are the sticks / And I am the stones”) che sempre si scioglie in un abbraccio. E così via cantando, con una voce potente e flessuosa nel solco di una tradizione al femminile che parte da Janis Joplin per arrivare fino alle rock girl bianche della sua generazione (assieme a lei metterei Susan Tedeschi e Melissa Etheridge, senza avventurarmi su quelle più giovani che non conosco abbastanza).

Sullo sfondo ovviamente c’è un’eco di R&B (diciamo Aretha Franklin come Etta James) e su certi tempi medio-lenti (l’intro di «Baddest Blues») io ho avvertito persino una piccola sfumatura alla Billie Holiday, ma mi scuso se probabilmente ho esagerato. Tra le mie preferite la martellante «Better Man» e poi anche «Thru The Window Of My Mind» che ha una sua bella enfasi evocativa.

Certo non è un disco dove tutto è perfetto: c’è un quasi-gospel tipo «Spirit Of God» che non è proprio nelle sue corde e c’è un blues strappalacrime piuttosto convenzionale come «There In Your Heart» dove pure la chitarra di Joe Bonamassa si riduce ad una comparsata d’autore e … non ci graffia il cuore. Piccolezze: se c’è vera una pecca è invece sulla parte grafica, dove non so cosa sia venuto in mente a Beth Hart di vestirsi come una femme fatale da avanspettacolo. Ma che importa, sull’immagine prevale la sostanza della musica e questo è un bell’album che non mi ha fatto certo rimpiangere la spesa.

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